La situazione economica e lavorativa della provincia di Savona non sembra risentire degli annunci, a livello nazionale, riguardo all’uscita dalla recessione che ha segnato gli ultimi due trimestri del 2018. Annunci forse dettati più che altro da esigenze di ricerca del consenso per l’attuale governo verde-giallo, in vista delle elezioni europee ed amministrative di fine maggio.
Il Secolo XIX del 29 aprile 2019 illustra una situazione poco confortante per quanto riguarda i saldi tra le iscrizioni di nuove imprese e le cessazioni, rilevate da Unioncamere nel primo trimestre del 2019. Nella provincia a vocazione turistica non può sfuggire il saldo negativo per 56 aziende nel settore alloggio e ristorazione, la perdita di 49 imprese di costruzioni oltre a 20 immobiliari. Comunque, tutti i settori tradizionali hanno saldi negativi, il commercio registra la perdita di 126 imprese, l’agricoltura 67, l’industria 19, delle costruzioni si è già detto sopra.
L’economia savonese non può sfuggire da quelle che sono le dinamiche della congiuntura sia a livello nazionale sia a livello internazionale, ma non è da escludere che tra i fattori alla base delle basse prestazioni economiche, vi sia che la provincia di Savona sia anagraficamente la più vecchia d’Italia e ciò costituisca un ulteriore elemento di decrescita degli andamenti già di per sé negativi.
L’articolo del secolo XIX rileva che i dati sono in linea con quanto già ufficializzato per il 2018 da Unione industriali e dai sindacati, che hanno sottolineato come nonostante tutto in provincia il settore che perde meno occupazione resta proprio quello manifatturiero, mentre lo storico zoccolo del terziario, per quanto rappresenti ancora la maggioranza del lavoratori, sta perdendo progressivamente addetti.
Non può sfuggire che Unione Industriali e sindacati savonesi non perdono mai occasione per sostenersi a vicenda.
Se il settore meno colpito dalla crisi secondo Unione industriali e sindacati è quello manifatturiero, bisogna però evidenziare che, nel 2018, in questo settore le difficoltà non sono comunque mancate, anzi c’è ben poco da rallegrarsi, visto che i problemi irrisolti degli anni precedenti rischiano di segnare pesantemente il 2019.
Ricordiamo la delocalizzazione avvenuta a fine 2018 della Asset Water Technology di Altare, azienda ad alto valore aggiunto per la produzione di erogatori di acqua, che ha visto perdere circa 50 addetti.
Seguono le vertenze delle due maggiori aziende metalmeccaniche della provincia quella di Piaggio Aerospace e la collegata LaerH, con stabilimenti a Villanova d’Albenga ed Albenga ela vertenza di Bombardier Transportation di Vado Ligure. Queste tre vertenze lavorative hanno un potenziale impatto tra lavoratori diretti ed indotto per circa duemila unità.
Dal punto di vista di un lavoratore, che dovrebbe avere come riferimento nella difesa dei propri diritti le rappresentanze sindacali , è altrettanto evidente che al momento le azioni messe in campo per difendere il lavoro ed il reddito sono state insufficienti.
L’ultimo rapporto ISTAT del novembre 2018 sui risultati economici delle imprese italiane, aggiornato al 2016, registra che le imprese attive nell’industria e nei servizi di mercato sono 4,3 milioni e occupano 16,1 milioni di addetti. La dimensione media è di 3,8 addetti. Inoltre, le imprese organizzate in gruppi generano il 55,6% del valore aggiunto dell’industria e dei servizi e conseguono risulti economici più elevati della media. Viene sottolineato anche che le imprese dei gruppi risultano più produttive di quelle indipendenti.Secondo questo rapporto, è la grande industria che farebbe da traino per l’economia italiana, potendo disporre di capitali e risorse per investire in innovazione, l’unico modo per poter competere con i giganti mondiali della globalizzazione. Il deficit italiano sarebbe quindi quello di avere medie e grandi imprese in numero inferiore rispetto ai concorrenti di livello internazionale.
Sempre da un punto di vista di un dipendente non può sfuggire il che le retribuzioni lorde in media nella grande industria sono quelle più elevate, evidentemente come conseguenza del maggiore valore aggiunto per addetto.
Raffrontando poi la dimensione media dell’impresa italiana per numero di lavoratori pari a 3,8 addetti, con il potenziale impatto occupazionale che la vertenza di tre grandi aziende può determinare, ciò equivarrebbe alla perdita di diverse centinaia di piccole imprese.
L’affermazione che il settore che perde meno occupazione resta proprio quello manifatturiero suona un po’ come l’ottimistico intervento, in occasione dell’assemblea dell’Unione Industriali della provincia di Savona dello scorso 14 novembre 2018 in cui il presidente Enrico Bertossi, dichiarò “I numeri ci confermano segnali di ripresa evidenziati in maniera piuttosto stabile da tutti i principali indicatori socio-economici. E non sono solo i numeri a dircelo, ma anche il clima generale di vitalità del territorio che si è respirato nell’ultimo biennio; penso soprattutto alla risposta eccellente che abbiamo ricevuto all’Area di Crisi Complessa, largamente superiore a quella registrata in altri territori per iniziative analoghe”. Non ci sfuggì di fare notare qualche contraddizione nell’articolo “Area di crisi complessa – I numeri confermano i segnali di ripresa” (LEGGI).
Effettivamente anche la procedura per l’area di crisi complessa sta andando avanti a gonfie vele.
La propaganda meglio lasciarla a chi la sa fare.
Passate le ferie ed i ponti pasquali, dopo gli incontri infruttuosi al ministero dello Sviluppo economico del venerdì di Pasqua per Bombardiere del 24 aprile per Piaggio, ed a quasi un mese dall’avvio della procedura di cassa integrazione per oltre 500 lavoratori di Piaggio e della cessione dell’ingegneria, propedeutica alla chiusura dello stabilimento, per Bombardiere tenuto conto del tempo perso nei mesi e negli anni scorsi, non è ancora chiaro cosa intenda fare il sindacato per salvare il reddito e l’occupazione delle due principali imprese metalmeccaniche della provincia di Savona, che occupano circa 2000 addetti tra diretti ed indotto.
Di cosa avranno paura i sindacati?
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