Siamo italiani

 

IO RUBO TU RUBI EGLI RUBA NOI RUBIAMO VOI RUBATE ESSI RUBANO
di Emilio Tomasini

Io rubo tu rubi egli ruba noi rubiamo voi rubate essi rubano. E’ normale, è il nostro mestiere, siamo tutti italiani. Chi lavora ancora in Italia ? Mah … davvero pochi. Il furto è la nostra attività prevalente. La bomba Fastweb è esplosa in una stagione davvero cupa per questo paese. Per chi va new economy Scaglia era il mito. Ora si scopre che era un presunto ladruncolo come gli altri anche se ci auguriamo che possa dimostrare il contrario, per il bene suo e di tutti quelli che hanno creduto in lui. E l’imprenditore piccolo piccolo come Tomasini dalla profonda provincia italiana si chiede se davvero esista qualcuno che abbia fatto e faccia new economy in Italia.

 Io ho quasi 42 anni e se mi guardo intorno della mia generazione non capisco chi davvero lavori producendo qualcosa di economicamente valutabile come produttivo per la società. Mi spiego. Intorno a me tra i miei coetanei ho avvocati, professori, medici, promotori, impiegati e dirigenti di banca, notai, commercialisti, venditori, trader, analisti finanziari, giornalisti …. Debbo continuare ?

 Facciamo un paragone che mi spiego meglio: mio padre Ercole, classe 1921, a 42 anni aveva intorno a se imprenditori ceramici che dal nulla avevano costruito industrie fiorenti, palazzinari che costruivano città dal nulla, e uno stuolo di aziende artigiane che ha “costruito all’ombra dei campanili cose che sono piaciute al mondo” (Carlo Cipolla).

 Sono due epoche diverse, d’accordo, una l’Italia del boom economica e l’altra l’Italia del malaffare, ma ti danno bene il polso di quale sarà il futuro di questo paese.

 Ho uno studente cinese e gli ho chiesto che cosa fanno le persone intorno a lui: mi ha risposto che fanno i mestieri di mio padre e di coloro che gli stavano a fianco. Nessun medico, avvocato, giornalista, professore, trader …

 La crescita economica non passerà più dalle nostre parti. Mangerà solo chi avrà il coraggio di vivere in Italia ma di lavorare all’estero.

 Mi si permetta di fare il professorino: quando sono stati fissati i paletti del 3% del deficit e del 60% del debito pubblico sul PIL l’Europa cresceva del 3% all’anno e sembrava che questo processo fosse infinito. Pensare ad una unione monetaria in mano alla Germania con paesi dalle finanze allegre come l’Italia la Spagna il Portogallo e la Grecia (beh no … qui sono ladri) e dalla bassa produttività è pura follia. Il sistema deve crollare.

 Vi faccio una domanda: cosa fa il FMI quando deve risistemare le finanze e l’economia di un paese a bassa produttività e indebitato fino a collo come l’Italia ? Lacrime sudore e sangue. Per prima cosa annulla il costo del lavoro, fa morire di freddo i pensionati, cancella il debito con l’inflazione e svaluta la moneta. Ecco il nostro futuro.

 Una volta il gioco era semplice: i costi italiani di produzione erano superiori a quelli esteri perché ci mangiavano tutti (magistrati, ladri, guardie, avvocati, politici, notai, commercialisti, sindacalisti, etc. etc.) e non appena l’industria italiana non era più competitiva zacchete … una bella svalutazione e il pil tornava a correre. Ovviamente svalutazione significava inflazione e se gli imprenditori aggiornano i listini con un tratto di penna i percettori di rendite fisse (leggi salariati) per modificare il salario debbono contrattare ogni anno o ogni due anni con gli imprenditori, scioperare, etc. etc. Nel frattempo santa inflazione ha mangiato la metà del loro potere di acquisto, ma l’industria è competitiva ed assume tutti. E si rinviano i problemi al futuro, ci si indebita a cuore leggero tanto ci penserà l’inflazione a cancellare i debiti ma nel frattempo si assume si investe si costruisce.

 Se tu applichi la politica monetaria di un  paese serio come la Germania ad un paese di ladri nullafacenti come l’Italia prima o poi devi saltare per aria, non ci sono alternative, siamo come una pentola a pressione.

 Nelle scorse settimane la Deutsche Bank ha diffuso uno studio su cui i giornali hanno messo la censura: dal 1999 al 2009 i prezzi dei prodotti industriali della Germania sono scesi circa dell1.1% all’anno  mentre quelli dell’Italia sono saliti di quasi l’1% all’anno. Facciamo un esempio: siamo nel 2000, io produttore tedesco costruisco macchine che vendo a 1000 euro all’anno e io Fiat costruisco anche io macchine che vendo a 1000 euro. Nel 2009 i costi del costruttore tedesco sono diminuiti del 10% (siamo in rendita composta e quindi sarà un 4%in più ma non entriamo in questi meandri) mentre quelli di Fiat sono aumentati del 10%. Quindi a parità di margine le macchine tedesche costano 900 euro mentre quelle italiane costano 1100 euro. Il delta è del 20% (che è poi vicino al 30% in capitalizzazione composta). Voi nel 2009 comprate le macchine tedesche o le macchine italiane ?

 E in quell’1% di aumento dei prezzi alla produzione c’è tutta l’Italia de noantri: ci sono le parcelle degli avvocati, gli stipendi dei dirigenti dell’amministrazione pubblica, le bollette della luce, del telefono e del gas metano, le autostrade con le tariffe pagate ai Benetton, i treni che non arrivano, le sentenze che seppelliscono gli attori in giudizio, tutto il circo barnum dell’Italietta che dice a parole di cambiare ma è sempre uguale a sé stessa.

 Tra la deindustrializzazione e la svalutazione permanente con le tensioni sociali che ne derivano quale è il male minore ? A voi la risposta.

 Sappiate che la terza via è impraticabile: ovvero che in Italia aumentasse la produttività, che tutti gli italiani si mettessero a lavorare, ad esportare, a non rubare. Questa condizione, che è alla base dell’unione monetaria, e si chiama “disinflazione competitiva” nella terminologia della UE, non funziona perché dipende dalla cultura politica e morale di un paese. Far lavorare gli italiani è una impresa impossibile, il sistema non si rinnova, affonda e sprofonda ma non cambia.

Per ogni italiano pensa che tanto se anche la nave affonda lui rimarrà a galla grazie allo zio vescovo, al nonno generale dei Carabinieri in pensione, al papà consigliere comunale. Siamo come in campo di concentramento, l’ambizione è quella di diventare kapò così ti eliminano dopo gli altri prigionieri e in ogni caso pur tormentando il prossimo stai sempre meglio degli altri.

di Emilio Tomasini
www.emiliotomasini.it

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