PRIMARIE PD: I segreti di Via Untoria

CONTINUA L’AVVINCENTE ROMANZO IN SETTE PARTI
DI ROBERTO DE CIA
DEDICATO ALLE PRIMARIE E ALLA VITA POLITICA SAVONESE
IL FINALE
Settima e ultima parte
 Una chiusura per tutti

Aeroporto Cristoforo Colombo ore 9,20 del mattino, il Consigliere aspettava immobile, vicino all’uscita dei passeggeri. L’aereo era stato annunciato in orario e tra pochi istanti la porta scorrevole si sarebbe aperta facendo passare le diverse tipologie di viaggiatori che normalmente arrivano a quell’ora da Roma. Molte valigette 24 ore, segno di chi è venuto in Liguria per lavoro ed affari. Qualche grosso trolley simbolo di turisti o marittimi, entrambi da imbarcare su qualche grande nave da crociera.

Dopo il primo gruppo di umanoidi dotati di prolungamento rotante, comparve il Sottosegretario, spalleggiato dal suo primo assistente e seguito da un attenta e impalpabile coppia di agenti in borghese.

“Come va ? Ciao, allora fatto buon viaggio?” disse subito il Consigliere tendendo una mano decisa, per la consueta breve stretta di mano protocollare….

 

“Tutto bene, come andiamo in centro?” bofonchiò in maniera sbrigativa il Sottosegretario, che anche nel tono di voce, esprimeva l’impeto di efficienza tutta padana che lo aveva portato ad essere uno dei maggiori e più temuti dirigenti del Partito.

Era vestito in grigio con una brillante cravatta azzurra, che faceva tremendamente pendant con i capelli brizzolati che portava ben pettinati all’indietro. Uno di quei classici fortunati che non solo non perdono più di tanto i capelli con l’età, ma che riescono a mantenere  per natura, una criniera invidiabile, almeno quanto la camicia fatta su misura che portava.

“Ho preso un taxi, spero non ci siano problemi”

“Va benissimo, così parliamo un po’. Tanto abbiamo tempo prima dell’incontro giusto?”

“Si anzi, se vuoi possiamo fermarci a prendere un caffè”

Salirono loro due e l’assistente sul taxi, mentre la scorta, che aveva logicamente una macchina di servizio preparata dalla Questura, li seguì pedissequamente.

Dopo i soliti commenti di routine sulle primarie liguri e campane, toccando pure per sommi capi i difficili rapporti con gli alleati di Governo, il taxi li lasciò in piazza De Ferrari, e loro si accomodarono in un bar prospicente. Dopo essersi fatti servire al tavolino all’aperto, fu il Sottosegretario a mettere subito i piedi nel piatto.

“Senti, abbiamo analizzato bene la questione dell’attentato a Cardoni. Tra l’altro è persona che avevo avuto il piacere di conoscere tanto tempo fa. Io ero un ragazzo e lui Sindaco e presidente dell’ANCI. Ma veniamo a noi e non divaghiamo. Come ti ho fatto capire al telefono, Il Presidente vorrebbe che la questione fosse chiusa al più presto. Sai Lui ha un fiuto speciale per queste cose. Nonostante probabilmente non influirà sulle elezioni regionali in Liguria, pensa che potrebbe alimentare una campagna mediatica contro di noi.

Anzi pensa che potremmo volgere la questione a nostro favore se la facciamo morire, dopo una dichiarazione di Cardoni che in qualche modo riporta la questione a vicende personali. Il Presidente pensa che potrebbe, nella giornata in cui verrà a sostenere la candidatura, far visita a Cardoni e portare a casa anche un segnale di pace verso la sinistra del Partito. Tu cosa ne pensi ?”

Il Consigliere ci pensò un po’ su e poi raccogliendo lo zucchero in fondo alla tazzina ed umettandosi le labbra, emise un suono che avrebbe potuto essere un si come un  Boh. Si riprese ed esclamò:

“Buona idea. gli telefono già oggi. Intanto se vuoi qui ho i documenti relativi alla questione dell’ ILVA, in modo che tu possa parlarne alla luce degli ultimi fatti.”

Dopo aver pagato si avviarono verso il Palazzo della Regione, dove li aspettavano una delegazione sindacale dell’ ILVA e poi una riunione con la Giunta Regionale per discutere i tagli al bilancio imposti dal Governo.

Nel salire sullo stretto ascensore il Consigliere, si chiese se l’idea, appena presentatagli dal Sottosegretario, fosse giusta e percorribile. La porta automatica della macchina elevatrice si aperse prima che avesse potuto darsi una risposta e subito si trovò di fronte delegati sindacali, delle RSU, giornalisti e messi, ai quali pazientemente e con un sorriso ben studiato, porse caldamente la mano.

A ben vedere gli autobus di TPL, non sono differenti da quelli delle altre città, se non fosse per la loro fatica, intesa come lavoro meccanico, che esprimono ogni volta che dal Centro devono salire al Santuario o peggio a Piazzale Moroni. Non che i motori non ci riescano, ma chi li guida sa che quando prendono la discesa sembrano sospirare per lo sforzo fatto. Leonardi, che aveva dovuto portare la macchina alla revisione, si accomodò sul bus di linea e potè avere una carrellata dell’umanità e della vita. Infatti sul vecchio macinino a gasolio preso alle 7,34 , c’erano nell’ordine: due donne anziane che dopo un lungo giro, avrebbero potuto finalmente andare a prenotare le visite specialistiche in Via Collodi. Un gruppetto di studenti di imprecisate scuole superiori, che pur nel dormiveglia del primo mattino, riuscivano a tastare il cellulare a velocità spaventosa. Il Presidente della Federazione della Pallapugno, ben più che adirato per il comportamento, veramente dispettoso, dell’automobile che lo aveva lasciato a piedi a causa di un probabile esaurimento della vecchia batteria. Due edili, probabilmente slavi, che parlavano tra di loro con l’idioma della loro terra. Una ragazza minigonnata molto carina, con il piglio di chi non ha tempo per i flirt ma che spera di averne uno al più presto. Ed infine una donna grassissima, che continuava ad ansimare, per aver dovuto fare i due gradini di salita sul mezzo, portandosi dietro sporte di plastica che sembravano contenere l’intero baule di un acrobata del circo.

L’ispettore si appoggiò, in piedi, al finestrino vicino allo spazio destinato ai disabili, e guardò da quello schermo così velocemente intercambiabile, la sua città. Una città di periferia, dove sembrava non accadere mai niente, e dove invece, poteva accedere di tutto. Passando davanti al Tennis Club. gli venne in mente che l’anno prima, queste strade, erano state bloccate da Forconi, rivoltosi, arruffapopolo, demagighi, senza che molti suoi colleghi poliziotti, facessero niente per impedirlo. Una Città bloccata da studenti, spacciatori, piccoli delinquenti, politici scaduti alla ricerca di nuova linfa nei consensi.

Gli venne in mente anche la notizia che aveva appena sentito alla radio e che riguardava l’arresto di un noto esponente della ‘Ndrangheta locale e questo pensiero per un po’ gli fece girare la testa.

Come era possibile che da un lato, come in occasione della vicenda genovese della “Diaz” o appunto dell’occupazione dei forconi, le forze dello Stato fossero colpevoli o   complici di metodi illegali o addirittura mafiosi e dall’altro però dalla stessa parte si facesse giustizia, quella vera. Don Giacomo, pensò, avrebbe detto che questo è frutto delle contraddizioni umane. Prova definitiva, che la libertà dataci da Dio era tra essere uomini di giustizia e di amore o essere anime perse nel peccato.

Per Leonardi, molto più umilmente, si trattava di scegliere se stare con lo Stato e quindi con la ragione e la forza della democrazia oppure, piegarsi o adeguarsi alla via più facile, al regno del denaro e del potere prevaricante.

Scese in Piazza del Popolo e si diresse a piedi in Questura, occhieggiando il placido e pigro scorrere del fiume che si era un po’ ingrossato dopo le recenti piogge.

Entrò dal portone salutando Pino, il piantone, che non si trattenne dal raccontargli, come sempre faceva, le traversie della squadra calcistica locale, di cui era tifoso sfegatato.

Entrò in ufficio, lesse alcune note e comunicazioni di carattere generale, prova evidente dell’esistenza della Burocrazia, al di là delle ripetute volontà di liberarsene, come perfetto meccanismo del niente e del nulla , che attanaglia ancora oggi questo Paese.

Prese in mano il telefono e fece quello che da tutta la notte aveva deciso di fare.

Cardoni stava assaporando il caffè e la lettura dei giornali, con la disinvoltura di chi, da tempo, mette arte in questi piccoli gesti.

Lo squillo del telefono lo fece in parte sobbalzare ed in parte infastidire.

Il cordless gli parve pesante e di primo acchito non riuscì a calibrare bene la pressione sul tasto della risposta. La linea cadde. Ma dopo alcuni secondi un nuovo squillo.

Buongiorno sono Leonardi. Come sta? Mi chiedevo se avesse un ora da dedicarmi. Potremmo essere vicini a capire il motivo dello sparo e ….insomma vorrei che lei fosse presente” Dopo qualche attimo di silenzio Cardoni disse:

” Mi faccia capire, cosa dovrei fare?”

“Vorrei che venisse con me da una persona. Credo che sia importante per tutti.”

Cardoni era preso di sorpresa. Non seppe che dire e si limito a una risposta sputata lì, come un gargarismo. “Va bene, mi passi a prendere”.         

Dopo circa mezz’ora, Leonardi, accompagnato dall’Agente scelto Salmi, suonò al citofono e dopo pochi minuti, Cardoni, avvolto dal suo cappotto grigio, aprì il portone del condominio ed entrò nella Fiat Uno d’ordinanza.

Spero che chi mi ha visto non pensi che mi avete arrestato” esclamò con una finta sicurezza.

Per prima cosa l’uomo aprì la finestra del cucinino, in modo che l’aria della bella mattina potesse entrare.

Mise su la caffettiera Bialetti, quella che aveva comperato con Anna, più di vent’anni prima, e che li aveva serviti a dovere.

Mentre attendeva che il caffè fosse disponibile, andò in bagno per le normali e comuni incombenze mattutine.

Si guardò allo specchio, come oramai faceva da tanto tempo. E’ curioso. Quando si è giovani il nostro rapporto con la nostra immagine è frettoloso e senza significato. Quando si è vecchi, il vedersi, diventa un modo per prendere atto non solo del tempo passato e dell’incedere delle rughe e del decadimento, ma un appuntamento fisso e masochistico.

Dopo le ablazioni, ancora in pigiama, accese la radio su RAI 3, ascoltando in sottofondo la lettura della rassegna stampa e fece colazione con il caffelatte e un pacco di grossi biscotti che aveva comperato in offerta al Supermercato sotto casa.

Sotto, nella via, che il Comune aveva classificato come Corso Vittorio Veneto, si udiva provenire il solito rumore delle automobili, delle serrande dei negozi che si alzavano e dei mezzi dell’ATA che con significativo ed inopportuno ritardo, caricavano la rumenta, differenziata e non.

Guardò fuori dalla finestra della stanza adibita a living room, come l’avrebbe definita l’Archiwriter Guarnazza.

Fuori il Sole ed il mare danzavano insieme creando una luce magica. La luce che qualche volta copre questa terra quando la tramontana, soffiando come un ossesso, leva di torno qualsiasi nube.

Si vestì, come i tutti i giorni, da quando sua moglie era morta, con un completo di fresco lana, che aveva appena ritirato dalla lavanderia all’angolo.

La cravatta no! Quella non era abituato a portarla. Perdiana, lui era sempre stato un operaio e quello strumento di tortura previsto dalla moda maschile, lo avrà indossato una decina di volte nella sua vita. Solo in occasione di momenti importanti: matrimoni, cerimonie familiari, naturalmente il matrimonio, il battesimo del figlio e le cerimonie religiose quali Comunioni e Cresime e poi naturalmente i Congressi del Partito e soprattutto la Conferenza Nazionale dei segretari di Sezione nel 1972. La cravatta, lì, aveva il senso del grande rispetto verso il Partito, omologato ad evento religioso. Rifletté per un attimo su quanto fosse stata stupida  quella posa che migliaia, forse milioni, di persone, di compagni, hanno avuto. Con la stessa ingenuità del bambino che vede per la prima volta Disneyland senza capire che dietro ai pannelli colorati, c’è un organizzazione costruita per fare soldi o peggio per creare un illusione alle masse che guardano a bocca aperta lo sfoggio dei colori e delle sorprese.

Gli venne in mente quell’anno, era il 1989, quando vide ammainarsi in diretta planetaria, la bandiera per la quale aveva rinunciato alle ferie, per la quale aveva preso qualche manganellata celerina, per la quale avevano speso, lui e Anna, più di una sera alla settimana. Evento, che lo aveva portato vicino alle lacrime. Lacrime mai sgorgate, solo per una educazione incisa nel profondo dell’anima, che non prevedeva dimostrazioni umorali di questo tipo da parte di un uomo.

Vedere quel vessillo rosso ammainato come quello di una fortezza catturata dal nemico, fu per lui peggio che capire che il figlio tanto voluto e per tanto tempo atteso, non sarebbe mai stato più quel piccolo angelo che portava la Domenica mattina al Prolungamento, mano nella mano, sulle giostrine.

Guardando il mare, infuocato dal sole, sobbalzò sentendo il citofono suonare, una ,due volte, in maniera insistente.

“Chi è?”

“Buongiorno sono l’Ispettore Leonardi, possiamo salire?”

Per Leonardi quella era la prova del nove. Come si suol dire ” o la va o la spacca.”

Naturalmente il piccolo condominio non aveva ascensore e I tre dovettero farsi venire un pò di fiatone per salire le scale. Arrivati al piano, l’Ispettore suonò dolcemente il campanello. Era uno di quelli di vecchia suoneria che fanno din don. Non aspettarono molto. Un uomo, quasi piegato su se stesso aprì la porta e senza un cenno li fece accomodare.

La casa, pulitissima ed ordinata, aveva una luminosità accentuata dalla vista prevalente sul mare delle Fornaci.

L’Uomo, per niente sorpreso, li salutò con una stretta di mano e li fece entrare nel salottino. Una poltrona un divano, entrambi di pelle chiara di buon gusto, con sul pavimento un tappeto Gabbeh, cioè da definizione di wikipedia, un tappeto grezzo con motivi primitivi provenienti dalla Provincia del Sud Ovest dell’Iran. Questo giusto per la precisione.

Alla pareti alcune mensole con diversi oggetti di provenienza esotica. Il tutto in un lindore quasi maniacale. Probabilmente, pensò Leonardi, nemmeno i ROS di Parma, non avrebbero trovato nemmeno un filo di polvere.

U’Maistro o meglio al secolo, Giuseppe Persico, teneva la sua casa come un gioiellino.

Quasi avesse captato i pensieri del poliziotto, Persico si sentì in dovere di scusarsi:

Da quando mia moglie Anna non c’è più, cerco di tenere la casa come lo faceva lei. Quando pulisco o levo la polvere mi sembra di averla vicina e so che lei apprezza”.

Li fece sedere e ci fu un attimo di imbarazzato silenzio.

“Posso offrirvi un caffè?”

“No grazie casomai dopo”

Veniva adesso la parte più difficile e delicata. Leonardi decise di stringere subito sul punto.

Signor Persico, lei sa perché siamo qui?”

“Si .Suppongo vi abbia parlato di me don Giacomo” Disse con decisione l’uomo.

Cardoni era silenzioso e osservava l’uomo che gli sembrava di aver già visto. Notò come i capelli, non del tutto ingrigiti, fossero riportati con cura sulla testa.

Quindi ammette di aver sparato al signor Cardoni? Perchè l’ha fatto?”

L’uomo si aggiustò meglio sulla poltrona che doveva essere stata abitualmente il suo posto  alla sera mentre guardava la tv. Gli occhi si velarono, forse per l’emozione.

“Non volevo, anzi è stato un incidente. Le spiego con calma. E’ vero che volevo entrare al PD. Non so nemmeno io cosa volevo. Ora mi sembra di aver fatto una belinata, ma non ne potevo più”.

Sia Cardoni che l’Ispettore non osavano interromperlo.

“Pensi pure che sia pazzo, forse lo sono. Io e mia moglie Anna, ci credevamo sul serio. Anni e anni pensando che i sacrifici che facevamo, sarebbero serviti a costruire un mondo migliore. Cardoni lo sa. La nostra vita, oltre a far crescere nostro figlio, era tutta casa e Partito. Pensi che oltre alle feste de l’Unità, alle riunioni, ai volantinaggi davanti alla fabbrica o in via Paleocapa, eravamo un po’ i custodi della Sezione. Avrò rinfrescato i muri 2 o 3 volte. Poi tutto questo non c’è più. Tutto questo muore e noi un po’ con lui”.

Leonardi, attento a non perdersi neanche una parola, cambiò posizione.

“Avete mai ascoltato quella canzone di Gaber: qualcuno era comunista? Ascoltarla per me è un dolore fortissimo, come lo era per Anna. Eppure facendomi male, mi ha fatto capire soprattutto alla fine, quando dice, lo ricordo a memoria che eravamo come due persone in una. Da una parte la personale fatica quotidiana e dall’altra il senso di appartenenza a una razza che voleva spiccare il volo per cambiare veramente la vita. “

Cardoni spezzo il silenzio.

“Va bene capisco, se vogliamo l’ho provato anch’io. Ma da qui a sparare. Cosa pensavi avresti ottenuto. E poi perché a me?”

“L’ho detto che era una belinata. Non volevo assolutamente sparare. Non l’ho mai fatto in vita mia, forse solo alle Giostre. Io volevo solo che capissero, che smettessero di pensare solo al proprio culo. Che la finissero di nascondersi dietro il vuoto delle parole. Ci hanno tradito. Non avrei mai sparato. E’ stato un caso, un errore. Volevo entrare li in quella via dietro al Classico e fermare le primarie o come belin si chiamano. Poi mi sono impaurito. Ho iniziato a tremare. Avevo paura di quello che stavo facendo. Proprio in quel mentre ho sentito aprire la posta della sede e mi sono bloccato. Il lepego mi ha fatto scivolare sulle scale e mi è partito un colpo. Sono scappato col motorino e sono tornato a casa.”

“Perchè non ha confessato?”

“Volevo, lo giuro, ma poi ho saputo che Cardoni era stato ferito solo di striscio e ho lasciato perdere.”

“E quella vecchia pistola da dove esce?” chiese Leonardi

“Ah quella? E’ una storia lunga che non so se è giusto raccontare. Diciamo che era il pegno che mi ha lasciato un marittimo francese tanti anni fa. Mi doveva dei soldi e mi diede la pistola a garanzia. Non l’ho più rivisto e ho tenuto la pistola per tutti questi anni in cantina, ben nascosta. E ora se mi vuole arrestare, lo faccia. Tanto non ho più nessuno che mi aspetti qui. Mi figlio lo vedo pochissimo. Vive fuori.”

Leonardi guardò Cardoni con aria stanca. Questo era un esempio di come spesso le inchieste scoprissero verità banali. Di come, solo nei romanzi il colpo di scena irrompesse sorprendendo il lettore. La vita vera era più scialba. Forse era noiosa o ordinatissima, come quell’appartamento di due pensionati che avevano vissuto per conto terzi la Storia, quella con la S maiuscola, come diaconi di una chiesa laica.

L’Ispettore diede un occhiata eloquente a Cardoni e disse:

” Mi permette di scambiare due parole con il Signor Cardoni?”

” Sicuro, nel frattempo metto su il caffè”.

Leonardi si avvicinò al suo compagno e in tono più basso, pronunciò una frase che certamente non aveva imparato durante il corso da sottufficiale di Polizia.

” Senta Cardoni, cosa ne pensa?”

“Sono sorpreso e in parte amareggiato?”

“Avrebbe preferito un bel attentato politico che la facesse passare da eroe?”

“Non dico questo, ma certo che venire a sapere che si passano quattro giorni in ospedale perché un vecchietto scivola per il lepego dalle scalette…svilisce tutto.”

Leonardi si alzò, si sentiva in cucina il rumore di piattini e cucchiai che venivano forse messi su un  vassoio, avvicinandosi alla finestra che dava sul mare, quasi pensasse ad alta voce, replicò:

“Senta Cardoni, parliamoci chiaro. Della vicenda del suo ferimento, ai miei capi, interessa meno di un sequestro di un motorino ad un conducente ubriaco. Abbiamo capito subito che non era cosa da professionisti. Loro non l’avrebbero mancata. Inoltre non c’era movente. Lei da troppo tempo non ha più ruoli politici o amministrativi. Poteva essere l’azione di un folle, certo. Per questo, nonostante tutto sono voluto andare sino in fondo. Adesso, dovrei arrestare quest’uomo, che vive di rimorsi e rimpianti. Trascinarlo in una gogna mediatica. Portarlo al processo e dare da vivere ai soliti avvocati penalisti, che si fregherebbero le mani per il caso così “spendibile” commercialmente. In più quest’uomo ha più di 70 anni. Non farebbe nemmeno un giorno di galera e costerebbe allo Stato almeno quarantamila euro. Cosa dovrei fare, secondo Lei?”

Cardoni stette in silenzio per qualche secondo.

Faccia quello che farei io. Lasci perdere. E’ un poveraccio.”

“Un poveraccio che ha contribuito anche lei a creare. Non si offenda, ma mi pare ovvio.”

“E’ un discorso lungo e non mi pare questo il momento, lo riprenderemo, se vorrà. “

Nel frattempo, con il tintinnare delle tazze Persico entrò nel salottino. Le sue mani facevano tremare il vassoio e i cucchiaini sbattevano contro le tazzine colme, forse troppo, di caffè fumante.

Posò la bevanda sul tavolino di legno e vetro e stette lì in piedi, in silenzio ad osservare i due che dopo gli ovvi ringraziamenti assumevano, con sospetto, la brodaglia nera e calda.

“Senta signor Persico, avrei bisogno di avere la pistola” esclamò a mezza bocca Leonardi.

Il vecchio, prese dal cassetto più vicino l’arma e gliela diede.

“E’ stata una belinata. Se mi lascia preparare due cose poi mi porti dove vuole”

L’Ispettore annusò la canna e aprì il caricatore, mancava giusto un proiettile.

“Facciamo così Persico, lei mi garantisce che di belinate non ne fa più, che non si fa prendere dai suoi problemi e dalle sue storie e per adesso la chiudiamo qui.”

“Vuole dire che mi lascia libero?”

“Io e il Signor Cardoni, siamo venuti a trovare un vecchio amico. Non mi faccia pentire di quello che sto facendo…”

La faccia di Persico si modellò in modi impensabili. Probabilmente era la tensione che si scioglieva.

“Questa la prendo io è meglio” ribatté Leonardi.

Dopo gli ovvi convenevoli e scendendo dalle scale del condominio, Cardoni sussurrò:

“E’ sicuro di avere fatto la cosa giusta? Per quanto mi riguarda qui non ci siamo stati ma il suo collega che aspettava fuori?”

“Non sa perché siamo qui e del resto, come ho detto prima è stato solo un incontro tra amici.”

Cardoni venne riportato davanti a casa sua. Uscì un po’ sbalestrato, forse per aver saputo la verità che lo attanagliava, o forse, per aver saputo la verità, ben più dura, che riguardava la strana e triste storia della fine di un ideale.

Invece  di farsi riportare in Questura, Leonardi si fece lasciare, con una scusa banale, all’incrocio tra Corso Tardy e Benech e via Aglietto. Attraversò la strada e dopo aver fatto qualche centinaio di metri, infilò la pistola, senza più caricatore, dentro il cassonetto del vetro. Ben sapendo che sarebbe stata distrutta o resa inutilizzabile dal procedimento di compressione fatto dall’apposito camion.

La giornata era bella e serena. Vero prodromo della Primavera incipiente. Tornò in ufficio sapendo che avrebbe redatto un rapporto che non riportava l’intera verità e che avrebbe portato da lì a poco il Procuratore ad archiviare il caso. L’aria frizzante gli fece venire voglia di fare una telefonata a Patrizia. La sua vita aveva bisogno adesso di incrociarsi con qualcuno, soprattutto con lei.

La lettura del mattinale, non lo aveva messo di buon umore. Nonostante si vedesse nella foschia sorgere un sole promettente, il suo pensiero era preso dalle tante questioni che non gli permettevano di dormire serenamente.

Dopo la vicenda Cardoni, le polemiche sulle primarie, i conflitti per la candidatura alle Regionali, doveva anche capitare il coinvolgimento indiretto di esponenti della coalizione nell’inchiesta sulla ‘ndrangheta nel ponente. Prendendo un caffè appoggiato alla larga finestra della cucina, sentì vibrare il telefono. Era un messaggio che  diceva: “Caso Cardoni archiviato. Meglio così. P”. Già un problema in meno, se non ce ne fossero così tanti. Finì di bere il caffè, si diede un ultima sistemata al personale, salutò figlio e moglie e con il piglio del lottatore uscì di casa: ” Genova, sto arrivando aspettami”. Si disse schiacciando sull’acceleratore della Citroen appena entrato in autostrada. Accese la radio. Giravano i Guns Rose’s . Guardandosi nello specchietto retrovisore, non poté fare a meno di vedere alcune rughe che contornavano gli occhi e si disse tra se e se: “ma tanto a te chi ti ammazza…”

FINE

 “Naturalmente quando si cerca, come ho fatto io, di scrivere un racconto, si può essere influenzati dalla realtà  e dalle figure che ci circondano. E’ vero che se il racconto che ho cercato di scrivere, è vero, non si può dire lo stesso dello scrittore. Il quale nel suo tentativo narrativo, potrebbe aver ricordato all’ipotetico lettore fatti e/o personaggi della realtà . Naturalmente il mio è un umile esempio di come possa essere usata la fantasia nel campo della scrittura. Nessun nome  nè tantomeno fatti sono riconducibili alla realtà, anzi sono frutto della mia fantasia.Vanno fatte salve alcune ispirazioni derivanti dalla cronaca locale e Ligure in particolare. Riportati, del resto dai giornali e dai più letti blog di informazione. Approfitto per ringraziare alcune persone senza le quali non avrei avuto l’ispirazione di scrivere questa modesta novella. Prima di tutto ringrazio anche in maniera postuma Raynold Chandler e Georges Simenon per avermi fatto partecipe di una capacità  letteraria che io giudico straordinaria ed ineguagliabile. Ringrazio Luca e Giovanni che hanno confrontato con me la fondatezza della trama del racconto. Sopratutto ringrazio mia Moglie Luisa, che  mi ha dato la forza per passare dal pensato allo scritto.
Un ultimo ringraziamento va a “Uomini Liberi” ed al suo creatore-editore. Non so perchè abbia voluto dedicare bit e byte del suo spazio al mio racconto. Credo lo abbia fatto con la generosità  e il pluralismo che contraddistinguono, nel bene e nel male, comunque le si voglia vedere, queste pagine web. Spero per Lui non sia stato un errore fatale. Nel caso Chapeau.
Roberto De Cia

 

 

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