Pensiero della domenica: La notte della Repubblica

Era un pomeriggio come tanti quel 12 dicembre del 69
Al piano terra della banca dell’agricoltura, c’è ancora parecchia gente, per lo più commercianti di bestiame e mediatori che vengono dalla provincia e lì si riuniscono per le contrattazioni. Sono le 16.37 quando una violentissima esplosione devasta l’ambiente. Alla fine si conteranno 17 morti e 88 feriti.
Oggi a oltre 50 anni di distanza siamo ancora in cerca dei colpevoli.
Inizialmente le indagini degli inquirenti furono incentrate sugli ambienti anarchici, tralasciando la pista nera manipolata dai servizi e apparati deviati dello stato, che, a detta dei cronisti di allora, sembrava la più plausibile.
Il principale sospettato fu considerato Pinelli Giuseppe è l’anarchico più “in vista” tra quelli milanesi frequentemente è in Questura per richieste di autorizzazioni, convocazioni, per cui quando nel tardo pomeriggio del 12 dicembre 1969, subito dopo l’attentato di piazza Fontana, Calabresi si presenta al Circolo di via Scaldasole e invita Pinelli a recarsi in Questura, questi acconsente senza problemi, inforca il motorino e segue l’auto della polizia.
Trattenuto per un interminabile interrogatorio oltre il limite della legalità, si parla di tre giorni consecutivi, intorno alla mezzanotte del 15 dicembre, il suo corpo precipita da una stanza dell’Ufficio Politico al quarto piano e si sfracella a terra.
Ancora oggi non abbiamo un quadro certo della verità, menzogne, depistaggi a mio avviso che causarono anche successivamente la morte in un attentato, del commissario Calabresi accusato di essere l’assassino di Pinelli, storia smentita da testimonianze che dichiaravano che non era presente quando Pinelli precipitò dal quarto piano.
C’è chi pensa che da buon investigatore avesse capito chi erano i veri responsabili dell’attentato e per questo motivo messo a tacere. Sta di fatto che non sappiamo chi fu l’esecutore materiale e soprattutto il vero mandante in quanto la pista e le responsabilità attribuite, a mio avviso, erano lontane dalla verità.
Una coltre nera, con l’acre odore di morte ancora oggi ricopre l’intera vicenda.
Dobbiamo ricordare il clima di quegli anni, si è combattuta una guerra misteriosa segreta che aveva come scopo sovvertire, lo Stato,
In qualche ambiente si diceva che anche l’Italia doveva finire come la Grecia, ovvero sotto la dittatura militare ed è questo il motivo delle bombe che inizialmente dovevano essere dimostrative, ma che in seguito aumentarono il potenziale distruttivo con lo scopo di terrorizzare il popolo e fargli così digerire leggi speciali, restrizioni della libertà e infine il colpo di Stato per ristabilire l’ordine.
L’elenco dei responsabili è bello lungo, apparati dello stato, servizi segreti deviati, ambienti militari e servizi di potenze estere e personaggi ambigui negli ambienti di estrema destra e sinistra.
In quegli anni insomma il Paese era terreno di conquista di potenze estere che consideravano l’Italia una sorta di colonia.
Mi ricordo un singolo episodio quando l’allora Presidente del consiglio Craxi rese per la prima volta l’Italia un Paese sovrano. Ci fu un durissimo braccio di ferro, senza precedenti, tra Bettino Craxi e Ronald Reagan, poi – a terra – tra Vam, Delta Force e Arma dei Carabinieri. Alla fine a spuntarla, con non poche difficoltà, fu l’allora numero uno (al suo primo mandato) di Palazzo Chigi. In soldoni i Statunitensi volevano prelevare dei terroristi, per processarli in America quando i reati commessi furono perpetrati in territorio Italiano, per cui avevamo tutto il diritto di processarli in Italia, memori del servilismo Italiano gli americani pensarono anche in questo caso di farla da padroni.
Quella presa di posizione di Craxi finalmente da Stato Sovrano, e non da subalterno, fece incazzare gli americani a tal punto da decidere di mettere fine alla vita politica del Presidente del consiglio, cosa che avvenne puntualmente qualche anno dopo.
Anche la strage della stazione di Bologna avvenuta nel 1980, undici anni dopo quella di piazza Fontana, va inserita in un quadro golpista che mirava a generare terrore nella popolazione.
Sono 85 i morti e oltre 200 i feriti. Un tragitto di sangue, iniziato nel 1969 con la strage di Piazza Fontana a Milano, nella sede della Banca dell’Agricoltura e proseguito con i morti di Piazza della Loggia a Brescia e dell’Italicus, in un clima di scontro fra quelli che vennero chiamati “gli opposti estremismi”, segnato dalla cosiddetta “strategia della tensione”.
In questo quadro va anche inserito il rapimento e uccisione di Aldo Moro.
Perché vi propongo queste storie di tanto tempo?
La risposta è chiara bisogna ricordare per evitare che si torni a quei punti, perché attenzione la grave crisi che ci attanaglia i problemi sociali la povertà imperante, possono essere il nuovo detonatore di altri tentativi per ristabilire ordine e sicurezza, con metodi pesanti e illegali, qualora le proteste di piazza diventassero un problema.
Passano gli anni e arriviamo al 2001, il G8 a Genova che ricorda molto quel clima della fine degli anni 60, emerge infatti come un evento periodizzante per la storia contemporanea.
Due giorni di violenze perpetrate dalle forze dell’ordine e da gruppi organizzati di manifestanti. Una città messa a ferro e fuoco. E poi anni di processi, condanne, proscioglimenti, prescrizioni, reintegrazioni in servizio di molti dei protagonisti.
Diciamolo furono due giorni di vera e propria guerra civile, ove si tornò a vedere repressione violenta torture e abusi.
Come spesso dico, trattiamo in guanti bianchi la libertà, diffidiamo di chi con decreti o leggi fasulle si richiama a ordine e sicurezza, perché ne sono convinto ancora oggi, anzi soprattutto oggi, il rischio è altissimo.
Per cui attenzione massima in qualsiasi direzione, la libertà è un bene prezioso che abbiamo il dovere di difendere sempre e ovunque.

 Roberto Paolino

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