Il PEF, la TARI ed i “bei tempi andati”

In passato gli enti locali non avevano l’obbligo di verificare la congruità dei costi dei servizi di igiene urbana in rapporto alle risorse necessarie per eseguirli, e neppure vigeva l’obbligo di coprire l’intero costo del servizio di igiene urbana con la tassa rifiuti.
Gli enti locali risolvevano l’evoluzione dei costi e della complessità dei servizi di igiene urbana con gare al ribasso o, in presenza di azienda municipale, obbligando quest’ultima ad assorbire nel proprio bilancio i maggiori oneri sopravvenuti. Con queste tecniche la politica poteva millantare di non aver aumentato le tasse senza peggiorare la qualità dei servizi. Questo approccio portò inevitabilmente sul mercato una serie di operatori poco affidabili, mentre le municipalizzate furono lentamente portate verso il fallimento, spesso evitato o rinviato grazie a vendite di quote societarie o fusioni con altri operatori del settore.
Il legislatore, visto il malcostume dilagante, adottò una normativa adeguata, che prevedeva una attenta valutazione del rapporto costi/risorse/qualità dei servizi grazie ad uno strumento chiamato P.E.F. (Piano Economico Finanziario). La normativa mancava però di un adeguato organo di controllo, che fu individuato in ARERA. Oggi, nel settore dei rifiuti, l’attività di ARERA inizia a funzionare a pieno regime, imponendo a molti enti locali una revisione sia delle modalità di esecuzione del servizio, in conformità con le nuove normative, sia delle modalità di calcolo dei costi, da ribaltare interamente sulla tassa rifiuti.
In alcuni comuni italiani il P.E.F. funziona benissimo già da qualche anno, ma moltissimi enti locali faticano a digerirlo, anche perché riduce quasi a zero i giochini dei “bei tempi andati”. Nel breve periodo non possiamo che aspettarci aumenti della tassa rifiuti, che non sono incrementi arbitrari, bensì adeguamenti al reale costo del servizio.

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