Se davvero il piano industriale originario fosse stato basato esclusivamente sull’utilizzo dei mastelli, allora la scelta di introdurre i cassonetti intelligenti solo in alcune zone della città—e non uniformemente—avrebbe rappresentato una modifica sostanziale. Una modifica che, secondo la maggioranza, avrebbe dovuto rispettare il limite massimo del 15% previsto dal Codice degli Appalti. Ma se quel 15% si riferisse, come sembrerebbe, al valore economico del contratto e non alla semplice quantità dei punti di raccolta, allora ci troveremmo davanti a una forzatura.
In tal caso, sarebbe bastato consultare un esperto del settore per evitare una possibile violazione procedurale. Ma se così non fosse stato, allora si sarebbe potuto pensare che la giunta sapesse benissimo dei limiti del piano, e avesse tirato dritto comunque, consapevole delle criticità.
Una delle ipotesi più plausibili sarebbe che la scelta di non estendere ovunque i cassonetti con tessera deriverebbe da problemi di bilancio. Il ribasso presentato da SEA-S, vincitrice dell’appalto, potrebbe aver reso economicamente insostenibile sia la distribuzione capillare delle “campane intelligenti”, sia il rispetto degli orari di raccolta entro le 6:30 del mattino, come richiesto da logiche di decoro e funzionalità urbana. Se così fosse, l’argomento della giunta (“funziona così, altrove ha funzionato”) risulterebbe più una giustificazione di facciata che una scelta ponderata.
Se davvero si fosse voluto fare un piano su misura per Savona, si sarebbe dovuto tenere conto delle sue peculiarità: città a vocazione turistica, zone storiche come la Darsena, vicinanza al mare, intensità dei venti, passaggio di gabbiani, presenza di ungulati e di residenti temporanei in B&B. Invece si sarebbe adottato un modello studiato per realtà rurali o semirurali del Veneto, replicandolo pedissequamente in un contesto urbano complesso e fragile.
In questa ipotetica ricostruzione, si potrebbe anche pensare che le autorità cittadine abbiano sottovalutato, o peggio ignorato, i numerosi segnali di allarme lanciati da esperti del settore, residenti, associazioni e comitati. Un errore strategico che avrebbe amplificato le diseguaglianze, penalizzando soprattutto le fasce più deboli: anziani, disabili, lavoratori costretti ad adeguarsi a orari rigidi di esposizione e ritiro dei contenitori.
E se la raccolta porta a porta spinta risultasse davvero insostenibile, come già accaduto in altre città italiane costrette poi a tornare indietro, chi se ne assumerebbe la responsabilità politica, economica e sanitaria? Se i mastelli dovessero diventare un pericolo fisico (per il vento o per atti vandalici), o un problema sanitario (per mancanza di igiene e proliferazione di animali), ci si dovrebbe aspettare azioni legali da parte dei cittadini danneggiati?
Alla luce di tutto ciò, non sorprenderebbe se la partita dei rifiuti diventasse presto anche una questione giuridica, oltre che politica. Se ciò accadesse, sarebbe un’altra ferita alla credibilità di chi oggi governa, e un serio campanello d’allarme per chi auspica una gestione moderna, equa e sostenibile della cosa pubblica.