Nel Savonese il lavoro c’è, ma è precario, sottopagato e spesso senza prospettive. A dirlo non sono solo i numeri – che pure parlano chiaro – ma una realtà quotidiana sotto gli occhi di tutti, fatta di contratti a tempo determinato, part-time imposti, stagionalità senza tutele e giovani costretti a emigrare.
Negli ultimi 15 anni la provincia ha perso circa 24 mila persone in età lavorativa tra i 29 e i 40 anni: giovani con titoli di studio elevati, costretti ad abbandonare il territorio per cercare altrove – spesso all’estero – un’occupazione stabile e retribuita in modo dignitoso. Un dato che grida vendetta, ma che resta sospeso nel silenzio di una politica locale e regionale troppo spesso distratta o in ritardo.
La precarietà non è più un’eccezione: è la norma. Oggi il 92% dei nuovi contratti di lavoro nella provincia di Savona è precario. E quasi la metà è part-time, una forma contrattuale che riguarda soprattutto donne e giovani qualificati. Secondo l’INPS, nell’ultimo decennio l’utilizzo del contratto stagionale è aumentato del 194%, mentre il contratto intermittente ha registrato addirittura un +219%. Al contrario, i contratti a tempo indeterminato sono ormai una rarità: rappresentano solo il 9% del totale. L’apprendistato, un tempo via d’accesso al lavoro per i più giovani, è ridotto al 3% delle nuove assunzioni.
La situazione è aggravata da un altro fenomeno preoccupante: quello dei neet, i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano né studiano né seguono percorsi di formazione. Nel savonese rappresentano il 32% della fascia di riferimento, un dato tra i più alti a livello nazionale.
Ma il lavoro precario ha anche un corollario abitativo. Trovare una casa in affitto in Riviera è spesso impossibile, sia per la scarsità dell’offerta sia per i costi, del tutto scollegati dalle retribuzioni medie. Questo crea un ulteriore incentivo alla fuga: chi lavora, spesso, non riesce a vivere dignitosamente dove lavora. Una contraddizione che rende ancora più urgente una seria politica abitativa, oggi totalmente assente dai radar.
Nel settore del turismo e del commercio, spina dorsale dell’economia locale, il quadro è altrettanto desolante. Contratti brevi, garanzie ridotte, buste paga leggere: condizioni che scoraggiano chi vorrebbe restare o formarsi in questi ambiti. A peggiorare la situazione, la durata sempre più limitata dei contratti stagionali, che non permettono nemmeno l’accesso all’indennità di disoccupazione. Il risultato? I lavoratori migrano altrove. E non tornano.
Serve un cambio di passo immediato. Le istituzioni locali, regionali e nazionali devono interrogarsi sulle dinamiche del lavoro nel savonese e intervenire con strumenti strutturali. Politiche attive per l’occupazione, incentivi alle assunzioni stabili, investimenti seri nella formazione, anche in collaborazione con le imprese: questi dovrebbero essere i pilastri di un piano straordinario per rilanciare il lavoro e la dignità di chi lo cerca.
Perché se è vero che la crescita economica passa anche dal turismo e dai servizi, è altrettanto vero che senza lavoro stabile e ben pagato una comunità si svuota, perde futuro, e diventa fragile. Savona è già su questa strada. Invertire la rotta sarà ancora possibile?