Savona, il mistero della spazzatura che non funziona

Docks Lanterna e Idealservice sono due società con curricula solidi: da decenni gestiscono la raccolta dei rifiuti in decine di comuni, dal Piemonte alla Liguria, spesso in ATI (associazione temporanea di imprese), con risultati di qualità, riconoscimenti ambientali, bilanci premiati e certificazioni internazionali. Nella loro Carta dei Servizi, redatta per il Consorzio Ecologico Cuneese, si legge di standard rigorosi: efficienza, continuità, igienicità dei contenitori, risposta ai reclami entro 20 giorni, monitoraggio della soddisfazione degli utenti, campagne di educazione ambientale. Tutto ordinato, controllato, misurato.

Eppure, a Savona, lo stesso binomio sembra trasformarsi in un cortocircuito.
Gli stessi soggetti che altrove garantiscono un servizio efficiente qui producono caos, lamentele, cassonetti traboccanti e quartieri in rivolta. Cosa cambia? La formula.

A Savona non si tratta di un’ATI, ma di una società mista dove il Comune detiene il 51% delle quote.
E dunque, riepilogando:
Docks Lanterna + Idealservice = servizi di qualità.
Docks Lanterna + Idealservice + Comune di Savona = disastro totale.

La matematica non mente: il “fattore Comune” sembra introdurre la variabile impazzita.
Quando l’ente controllore diventa anche socio e padrone, i ruoli si confondono. Chi deve vigilare sul servizio diventa parte del servizio stesso.
Risultato: il sistema si inceppa, le responsabilità si diluiscono, le decisioni si politicizzano.

È un paradosso tutto savonese: un modello che dovrebbe garantire controllo pubblico e trasparenza si è trasformato in un ibrido inefficiente, dove il Comune — invece di essere arbitro — gioca in campo e in panchina contemporaneamente.

Il documento ufficiale parla di partecipazione, efficienza, miglioramento continuo.
I cittadini, invece, vedono bidoni pieni, tempi lunghi, sportelli chiusi e risposte vaghe.
Forse la domanda giusta non è più “perché la raccolta non funziona?” ma “a chi conviene che non funzioni?”

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