Nel sottobosco della politica locale, tra mozioni insipide e comunicati autoreferenziali, prospera una fauna particolare: quella degli amministratori permalosi, specie sempreverde che si nutre di like forzati, elogi di cortigiani e… mal sopporta la minima critica.
Il copione è sempre lo stesso: basta un articolo, una battuta o un post un po’ pepato e subito parte la minaccia di querela, arma prediletta di chi ha più bisogno di intimidire che di amministrare. Perché – diciamolo – chi ricorre spesso alla querela è, in genere, un amministratore dal valore modesto, messo lì non certo per meriti o visione, ma per una provvidenziale spintarella di partito o amicizia trasversale.
Ma il meglio (o il peggio) arriva quando chi lo ha voluto in quel posto per qualche motivo lo abbandona: allora l’ex pupillo si ritrova solo e insicuro, e la permalosità si trasforma in vero e proprio nervosismo amministrativo. Le minacce si moltiplicano, i comunicati diventano surreali, le colpe sono sempre degli altri.
In fondo, più che amministrare, questi personaggi cercano di sopravvivere politicamente, coprendo l’imbarazzo di non essere all’altezza con la cortina fumogena dell’arroganza. E così, tra una denuncia sventolata e un post indignato, resta solo il vuoto. Quello di chi non ha una guida, né idee. Ma ha un ego smisurato e l’email del proprio avvocato in copia carbone.