IL PACCO PER SAVONA: la rivisitazione dell’Agenda del “PATTO PER SAVONA”

C’era una volta il Patto per Savona. Un documento nobile, pieno di parole ambiziose, che prometteva una Savona giusta, dinamica e attrattiva. Non un semplice programma elettorale, ci dissero, ma una “visione” alta, collettiva, partecipata. Una rivoluzione urbana in punta di penna.

E poi? Poi è arrivato il Pacco. Quello che si riceve quando si ordina speranza e si ritrova degrado. Quando si promettono patti e si consegnano… disservizi, marciapiedi dissestati, stalli politici, bidoni “intelligenti” e promesse evaporate.

In questa rubrica andremo a scartare, settimana dopo settimana, i pacchi del Patto. Con il gusto amaro dell’ironia e la puntualità della delusione.

LA VISIONE

Visione offuscata: la città che non decolla (e neanche si alza dal letto)

Nel 2021, tra slides eleganti e dichiarazioni da TED Talk, il “Patto per Savona” ci prometteva una città giusta, dinamica e attrattiva. Parole scolpite nel marmo, anzi, nei PDF elettorali. Un programma ambizioso, definito non “semplice” ma “di visione”. Quasi spirituale, mistico.

Savona giusta, dicevano, “perché capace di prendersi cura di tutti i suoi cittadini”. Peccato che oggi i cittadini debbano invece prendersi cura da soli della città: tappare le buche, aggirare i cassonetti strapieni, proteggere i negozi da vandali notturni, e a volte anche spazzare il marciapiede davanti a casa. A proposito di giustizia: quanto è giusto che quartieri come il Valloria o Villapiana si sentano ormai un avamposto dimenticato?

Savona dinamica, proseguiva il Patto, “capace di cambiare per interpretare lo spirito del tempo”. Qui lo spirito del tempo sembra essere quello del rinvio. Progetti che slittano, bandi che evaporano, annunci che scadono come yogurt dimenticati in frigo. Le “grandi opere”? Sulla carta. La manutenzione ordinaria? Una leggenda metropolitana.

Savona attrattiva, infine. Una città che “attira idee, investimenti e opportunità”. A dire il vero, attira più che altro lamentele, rassegnazione e sacchi di rifiuti fuori norma. Altro che capitale della cultura: qui si rischia la nomina a “capitale dello scaricabarile”.

LE CHIAVI DEL NOSTRO  PROGETTO

Nel secondo capitolo del “Patto per Savona” c’erano loro: le famigerate chiavi del progetto. Cinque parole d’ordine che dovevano aprire le porte al futuro. Ma che, alla prova dei fatti, non aprono nemmeno una serratura arrugginita del centro storico.

Ecco come doveva andare. E com’è andata.

 Sviluppo sostenibile:

Sostenibile per chi? Per chi riesce a sostenere economicamente un’attività in centro tra tasse crescenti, rifiuti perenni e degrado urbano? Per chi ha il coraggio di aprire una saracinesca sapendo che la vetrina potrebbe essere spaccata nella notte e l’immondizia lasciata come buongiorno? L’unico sviluppo davvero sostenibile sembra quello del malcontento cittadino, che cresce rigoglioso senza bisogno di bandi.

Cultura

La Capitale della Cultura 2027 rimandata al mittente. Svanita nel nulla. Gli eventi annunciati? Rinviati o sminuiti. Il Priamar, che doveva essere il cuore pulsante della rinascita culturale savonese, è rimasto un monolite chiuso, un monumento all’incompiuto, dove la cultura entra solo con il pass. E sempre che trovi parcheggio.

Doveva essere un “nuovo Rinascimento savonese”, e invece sembra una riedizione della Sagra del Rimando.

Comunità

“La città deve essere un luogo di coesione sociale.”

La coesione c’è. Ma solo tra chi protesta. Mamme davanti al Comune, commercianti esasperati, cittadini armati di ironia e sacchetti. La sensazione è che il dialogo sia a senso unico, e che l’amministrazione abbia confuso “comunità” con riunioni di condominio mal gestite.

Comunità frammentata, sfiancata, inascoltata. La città del dialogo si è trasformata in quella del monologo istituzionale. Le voci dei cittadini vengono ascoltate come si ascolta il rumore del traffico: con fastidio. La partecipazione è diventata una parola vuota, buona per i post social e i convegni con i microfoni spenti.

 Quartieri

Perché sono i nuclei identitari della vita cittadina.”

Nuclei, sì. Ma dimenticati. Da Zinola a Lavagnola, da Legino a Santuario, i quartieri vivono tra incuria, scarsa manutenzione, servizi ridotti. L’unica attenzione che ricevono? Un blitz fotografico prima delle elezioni o un post celebrativo su Facebook con hashtag tipo #quartieresemprenelcuore. Poi il nulla.
Se non fosse per qualche foto spot con l’assessore e il sindaco con le mani in tasca in sopralluogo, verrebbero dati per dispersi. Le criticità sono ovunque: strade rotte, servizi minimi, spazi abbandonati. Ma tanto la “Savona dei quartieri” è rimasta nei powerpoint. Nella realtà, ognuno va avanti per conto suo. Ora, dopo tre anni, stanno nascendo i tanto decantati i comitati di quartiere, visto l’andazzo di questi anni appaiono più come una mossa elettorale che vera partecipazione

Città strategica

“Perché deve essere un luogo bello e al passo con i tempi.”

Savona bella? Certo, quando si guarda il mare e si ignorano le crepe tutt’attorno. Al passo con i tempi? Forse con i tempi del secolo scorso, vista la velocità di esecuzione, la progettualità smarrita e il caos urbano diffuso. Strategica sì: ma solo nel gestire le emergenze come se fossero imprevisti cosmici.

Strategica nel posporre, nel demandare, nel parcheggiare le decisioni in attesa di tempi migliori (che non arrivano mai). Un tempo si parlava di visione urbana, oggi si potrebbe parlare di visione opaca. Gli obiettivi ci sono, ma nessuno sa chi deve raggiungerli. L’impressione generale? Una città che naviga a vista, in modalità “rinvio automatico”

 

Le Linee Guida:
dal manuale dei sogni al catalogo degli alibi

Nel Patto per Savona, le linee guida dovevano rappresentare la spina dorsale dell’azione amministrativa. Otto grandi principi, ognuno più ambizioso dell’altro. Ma mentre sulla carta sembravano l’agenda del futuro, nella realtà sembrano più un bugiardino di giustificazioni preventive.

 1) Progettualità

“Ispirata all’Agenda Urbana Europea, per affrontare le sfide e trovare fondi.”

Parole importanti, e anche un po’ intimidatorie. Peccato che di questa “progettualità” si siano perse le tracce tra un annuncio e una delibera rimandata. L’unica cosa strategica, al momento, è il modo in cui si spostano avanti le scadenze. Eppure i progetti sono delle precedenti amministrazione

 2) Connessioni

“Ogni progetto si collega agli altri in modo trasversale.”

Vero. Tutti i problemi sono interconnessi: se un quartiere è degradato, è anche poco attrattivo, privo di cultura, senza sviluppo sostenibile e con zero partecipazione. Complimenti: un fallimento integrato, coerente in ogni settore.

 3) Patto

“Con i cittadini, gli enti, le forze sociali ed economiche.”

Certo, il Patto c’è. Ma lo rispettano solo i cittadini, costretti a pazientare, pagare e adattarsi. Il resto del patto sembra unilateralmente sospeso. Se provi a chiedere qualcosa al Comune, scopri che non è più un patto, ma un monologo amministrativo con opzione ghosting.

 4) Coralità

“Coinvolgimento continuo, partecipazione permanente, consiglieri valorizzati.”

Sì, come no. Il Consiglio Comunale? Spesso informato a cose fatte. Le sedi di confronto? Rare e poco pubblicizzate. Gli “stakeholders”? Coinvolti, sì, ma dopo che tutto è stato deciso. La coralità è diventata un assolo di chi governa, suonato per una platea di cittadini stonati dalla delusione.

 5) Comprensorialità

“Serve sinergia con i comuni limitrofi.”

Bellissima idea: peccato che ogni Comune vada per conto suo. Sui rifiutiinfrastruttureturismo, ognuno ha la sua agenda e i tavoli di concertazione sembrano più che altro tavolini da caffè inutilizzati. L’unico vero “comprensorio” che funziona è quello del malcontento, condiviso a nord e a sud della Torretta.

 6) Struttura di reperimento fondi

“Una macchina centralizzata per coordinare tutto.”

Sì, esiste: sulla carta. Nei fatti, ogni settore sembra andare in ordine sparso. I bandi europei scadono prima ancora che ci si organizzi, le fondazioni fanno le loro scelte e i progetti rimangono in bozza. Una struttura così centralizzata che si è dimenticata di accendersi.

 7) Buone pratiche

“Ispirate ai Comuni italiani più virtuosi.”

Ecco, forse qualcuno ha fotocopiato i progetti degli altri ma ha dimenticato di allegare il manuale d’uso. Nessuna delle buone pratiche citate è stata replicata con successo. Anzi, spesso sembra che si sia fatto l’opposto: parcheggi peggiorati, mobilità frammentata, turismo lasciato al fai-da-te. Altro che modelli virtuosi: qui si rischia il premio Comune del vorrei ma non posso.

 8) Smart City

“Una Savona digitale, con realtà aumentata e servizi interattivi.”

Incredibile: non funzionano i cassonetti intelligenti e vogliamo la realtà aumentata. I visitatori interagiscono… ma con la confusione. Le informazioni viaggiano su canali casuali e la vera realtà aumentata è quella dei problemi moltiplicati dal digitale confuso

 

LA PROPOSTA SIMBOLO

Continua la rivisitazione dell’Agenda del “Patto per Savona”, la raccolta delle grandi promesse e delle solenni intenzioni dell’amministrazione, riletta con il filtro della realtà e dello spirito critico. Oggi tocca alla “proposta-simbolo”: la candidatura di Savona a Capitale Italiana della Cultura. Un’idea nata per unire la città, che invece ha finito per dividerla… tra chi cercava visibilità e chi cercava (invano) partecipazione.

Tra tutte le promesse solenni, i titoli altisonanti e i sogni a occhi aperti del Patto, ce n’era una che brillava di luce propria: la candidatura di Savona a Capitale Italiana della Cultura. Doveva essere il fiore all’occhiello, il vessillo della rinascita urbana, l’incrocio perfetto tra cultura, urbanistica e spiritualità. E invece…

È diventata il simbolo della vanità istituzionale.

No, non è il fatto che Savona non abbia vinto — nessuno si aspettava miracoli — ma il modo in cui è stata gestita questa ambiziosa corsa. Doveva essere un cammino collettivo, una coralità di idee, un puzzle di connessioni cittadine. E invece si è trasformato in un palco per ego ipertrofici, in cui ognuno ha cercato di ritagliarsi il proprio primo piano.
Quelli che dovevano “unire la comunità” si sono dimenticati perfino di chi l’aveva lanciata, l’idea. Non una citazione, non un ringraziamento. Solo selfie, slogan e qualche annuncio degno di un concorso per aspiranti influencer culturali.

E pensare che l’Agenda del Patto parlava chiaro:

“Vogliamo avviare un percorso che coinvolga tutte le componenti sociali ed economiche per sviluppare un progetto strategico…”
Bellissimo. Commovente. Ma poi, nella realtà, il progetto si è perso tra conferenze stampa autocompiaciute, slide a effetto e teatrini autoreferenziali. Della comunità nemmeno l’ombra, se non come pubblico passivo da incantare con i “rendering”.

E così, la “proposta simbolo” dell’intero Patto è diventata il simbolo perfetto di un fallimento collettivo mascherato da trionfo comunicativo (hanno perfino festeggiato la sconfitta) Una candidatura nata per rilanciare Savona, finita a rilanciare solo gli algoritmi sociali di pochi eletti.

La città? Sta ancora aspettando di capire se, dopo tanta retorica, qualcosa cambierà davvero o se resterà solo una pagina vuota nel grande libro delle occasioni mancate

SVILUPPO SOSTENIBILE

La vocazione economica

Sviluppo sostenibile: il grande collage delle buone intenzioni

Nel grande album delle promesse del “Patto per Savona”, arriva oggi il capitolo sullo sviluppo sostenibile. E già il titolo promette bene: non uno, ma tanti pezzi di vocazione economica, messi insieme in un bel collage concettuale. Il risultato? Un manifesto colorato, appeso metaforicamente sulle pareti del Comune, accanto alle gigantografie della “Savona che sarà”.

Campus, Porto, Turismo, Commercio, Ospedale: eccoli i cinque moschettieri chiamati a trainare la ripresa. Non è chiaro però chi tenga le redini, chi dia la direzione, e soprattutto dove stia andando questa carrozza.

Parole chiave?
Innovazione, transizione energetica, città bella e vivibile. Tutto giusto. Tutto ovvio. Ma andiamo con ordine:

1. Alleanza città-porto:
Dovrebbe essere il volano economico e logistico. Peccato che i crocieristi si perdano tra i bus navetta e i parcheggi fantasma, mentre i rapporti istituzionali col porto sembrano gestiti a colpi di letterine protocollate e foto di circostanza.

2. Alleanza città-campus:
Bellissima l’idea. Ma quando il campus universitario continua a sembrare un corpo estraneo rispetto alla città, frequentato da studenti che fuggono appena finisce la lezione, viene da chiedersi se l’alleanza sia reale o solo evocata.

3. Turismo:
C’è. Ma dove va? A parte qualche evento isolato e la promessa di “nuove rotte culturali”, il piano turistico pare navigare a vista. E il brand di Savona è più presente nelle slide che nei mercati.

4. Commercio:
Alle prese con la desertificazione del centro, resiste grazie a pochi irriducibili. L’unica vera alleanza è quella tra commercianti e speranza.

5. Nuove forme di lavoro:
Citazione degna di un convegno sul futuro. Ma nel concreto? C’è una strategia? C’è un piano? Oppure si confida ancora che qualcuno venga a scoprire Savona per caso, tra una call e una start-up immaginaria?

L’idea di tenere insieme tutto con l’“anello di congiunzione” della città bella e vivibile è poetica. Ma il rischio è che Savona diventi come quei gioielli artigianali fatti con lo spago: belli da vedere, fragili da usare.

Per ora, più che uno sviluppo sostenibile, sembra un proclama insostenibile.

IL PORTO

Il Porto, l’Alleanza e il Grande Bluff: viaggio nel pacco più salato della città

Nel Patto per Savona, il Porto è descritto come il cuore pulsante della città. Anzi, di più: un ponte verso il futuro, un generatore di sviluppo, cultura, turismo, lavoro, innovazione. In teoria. Nella pratica, sembra più un condominio litigioso, separato dalla città da recinzioni, disinteresse e reciproche diffidenze.

L’Alleanza città–porto è stata annunciata come una delle priorità strategiche del programma Russo. Doveva ricucire lo strappo tra la Savona urbana e quella portuale. E invece? Le promesse si sono arenate come un cargo senza rimorchio, e i cittadini – quelli veri – nemmeno si accorgono più di avere un porto.

Vediamo punto per punto questo pacco confezionato con nastro adesivo amministrativo e retorica da brochure:

1. Tavolo politico permanente

Doveva essere il luogo del dialogo continuo tra sindaci, direttori e rappresentanti. Ma più che un tavolo pare una sedia vuota: mai pervenuti verbali, convocazioni, decisioni operative. Il “tavolo permanente” è diventato… permanentemente inutile.

2. L’interlocutore unico per le pratiche portuali

Un’idea anche sensata: un referente comunale per facilitare la burocrazia. Ma chi è? Nessuno lo sa. Nemmeno in Comune. E le pratiche restano impantanate come container mal posizionati. Più che semplificare, si è moltiplicata l’opacità.

3. Ricaduta economica

Tutti dicono che il porto porta ricchezza. Ma dove finisce? Savona continua a perdere occupazione e residenti, mentre il traffico portuale cresce. Forse la ricaduta c’è, ma cade sempre altrove. Ai cittadini rimangono le code, le polveri e le promesse.

4. Porto aperto e museo a cielo aperto

Idea suggestiva: realtà aumentata, visite guidate, cultura portuale. Ma al momento l’unica cosa aumentata è la distanza tra chi lavora nel porto e chi ci vive accanto. Di museo nemmeno l’ombra. Di realtà aumentata, solo l’aumento delle illusioni.

5. Aurelia bis, ultimo miglio, treni

Siamo sempre allo “studio”, alla “valutazione”, alla “programmazione”. Come se si partisse ogni volta da zero. Ma sono anni che si promette la chiusura dell’anello viario. E ogni ritardo è un freno anche allo sviluppo urbano. Il collegamento tra porto e città resta… scollegato.

6. Waterfront di levante e ponente

Doveva essere la vetrina della nuova Savona. Ma tra ex Funivie, degrado, liti urbanistiche e paralisi politica, il lungomare si sta trasformando nel simbolo dell’occasione persa. La “co-pianificazione” del litorale, per ora, è co-incomprensibile.

7. Transizione energetica

Anche qui: grandi titoli, zero watt. L’elettrificazione delle banchine è ferma, le navi continuano a fumare come ciminiere e il Campus viene evocato come un oracolo, ma senza fatti. Altro che progetto simbolo: sembra una fiction senza produzione.

La cosiddetta alleanza città–porto somiglia più a una separazione in casa. Due mondi che si guardano di traverso, parlano lingue diverse, si tollerano a fatica. E la città, intanto, continua a girare le spalle al suo porto, nonostante i proclami, le delibere e i DPSS.

Insomma, se questo è il pacco dell’Alleanza, possiamo solo dire che l’imballo è elegante, ma dentro c’è poco. O niente.

IL CAMPUS

Dal Campus alla città… ma senza navigatore: il patto accademico che resta sul libretto universitario

Nel grande libro dei sogni firmato “Patto per Savona”, c’era anche questo: l’Alleanza città–Campus. Un’idea perfetta per far sembrare Savona una città del futuro: giovane, dinamica, innovativa, piena di start-up, studenti, docenti e imprese nate da una scintilla di ricerca.
E invece? Siamo fermi alla copertina.

Chi pensava che bastasse la parola “Campus” per far apparire competenze, progetti, residenze e scambi culturali si è illuso. O ha copiato da un compito in classe senza leggerlo.

Vediamo cosa ci avevano promesso… e cosa si è perso per strada.

1. Accordo Comune–Università: promesso, dimenticato

Doveva esserci un accordo di programma strutturato tra Comune e Ateneo. Doveva coinvolgere anche le scuole superiori. Doveva rilanciare la SPES. In pratica: tante parole, zero convenzioni, e la SPES resta sospesa tra presente opaco e futuro incerto.

Nel frattempo, gli studenti ci sono, ma la città li ignora. Nessuna vera integrazione, nessuna politica attiva. E se chiedi a un cittadino dov’è il Campus, ti risponde: “Ah, quello a Legino?” Come se fosse un quartiere a sé stante, e forse lo è davvero.

2. Residenze universitarie: da priorità a miraggio

Si parlava di uno studentato a Palazzo Santa Chiara. Doveva essere il simbolo dell’ospitalità savonese per studenti, docenti e corsisti. Ma il palazzo è ancora lì, chiuso, in attesa di un destino.
Nel frattempo, gli studenti cercano casa tra annunci improbabili e prezzi assurdi. Accoglienza? In teoria. Rigenerazione urbana a Legino? Sulla carta. Nella realtà? Qualche toppa, nessuna visione.

3. Spazi per le imprese innovative: missione invisibile

La creazione di un distretto di imprese collegate al Campus sarebbe stata una svolta. Ma nessuno ha ancora detto dove, come, quando. I terreni vicini restano vuoti o occupati da progetti senza vocazione. Integrazione impresa-ricerca? No, grazie.

4. Competenze universitarie usate come slogan

L’alleanza prevedeva che Savona attingesse al sapere del Campus:

  • Energia per edifici pubblici e Porto: nessun progetto visibile.

  • Scienze motorie collegate al mare: zero.

  • Mobilità: un incubo cittadino, altro che competenze.

  • Comunicazione: nessun ponte con turismo e cultura.

  • Ambiente: il CIMA fa, ma il Comune dorme.

  • Infermieristica: ignorata, in una città con un ospedale che annaspa.

Le competenze ci sarebbero, ma nessuno le coinvolge davvero. Il Campus, per la città, è ancora un corpo estraneo. Più che alleanza, sembra un Erasmus interrotto.

Nel “Pacco per Savona”, il Campus è stato messo lì come una parola magica: dà lustro, fa moderno, fa europeo.
Ma senza visione, senza governance, senza spazi, senza connessioni reali, resta una realtà isolata. Un’isola accademica in una città che continua a guardarla con indifferenza e sospetto.

L’alleanza tra città e università è rimasta un’idea da convegno, con la solita foto ricordo e l’immancabile buffet. L’innovazione, intanto, prende treni per Torino, Milano o Genova. Savona resta a guardare. Come sempre.

TURISMO

Il turismo secondo Savona: strategia di (dis)accoglienza in cinque mosse

Nel “Patto per Savona”, il turismo doveva essere la chiave per aprire le porte della città al mondo. E invece pare abbiano perso la chiave. O, peggio, che la porta sia murata da tempo.
Savona, a detta del programma, dovrebbe diventare una destinazione turistica integrata, accessibile, verde, pet-friendly e culturalmente effervescente. Ma la realtà è più simile a una sosta forzata che a una vacanza.

Vediamo insieme, punto per punto, le meraviglie promesse… e la concretezza evaporata.

1. Marketing territoriale: chi lo ha visto?

Nel Patto si parla di “governance pubblico-privata” per creare prodotti turistici.
Nel frattempo, l’unico marketing attivo è quello delle compagnie crocieristiche, che evitano accuratamente di proporre tour cittadini. Il Priamar è lì, bellissimo, ma spesso chiuso. I musei? Invisibili. Le spiagge? O cementificate o a numero chiuso.
L’unica vera strategia pare essere non disturbare il turista di passaggio.

2. Decoro urbano: la vera attrazione turistica

Secondo il Patto, non può esserci turismo senza rigenerazione urbana. Verissimo.
Peccato che molti quartieri sembrino in stato di abbandono, con panchine rotte, strade bucate, marciapiedi in guerra con le radici degli alberi e rifiuti che decorano la scena. Più che una città turistica, Savona sembra un esperimento urbano post-bellico. E comunque, nessun turista paga per una cartolina col cassonetto.

3. Accessibilità: sì, ma solo alle buche

Ah, l’accessibilità. Punto nobile. Ma tra scalinate ovunque, ascensori rotti e mezzi pubblici imprevedibili, la vera prova per il visitatore è trovare un bagno funzionante.
Il progetto Bandiera Lilla è citato ovunque, ma in giro di lilla si vedono solo i lividi dei disabili che cercano di attraversare la città.
E la Silver Economy? Gli anziani, qui, vanno al mare solo se li accompagna un parente in buona salute e con la patente.

4. Pet-friendly: gli animali ringraziano… da casa

Dovevano arrivare servizi per cani, gatti e padroni in vacanza. Ma tra divieti, spiagge inaccessibili e aiuole inesistenti, il quadrupede più felice a Savona è il piccione.
L’unico “amico dell’uomo” che si trova con regolarità è il topo nei bidoni della spazzatura. L’accoglienza agli animali resta nel cassetto, insieme al piano turistico.

5. Outdoor, sentieri e trekking urbano

Questo era il pezzo forte: rilanciare l’entroterra, creare eventi sportivi, tracciare sentieri.
In pratica: si è tracciata solo l’intenzione. I sentieri sono mal segnalati, i percorsi per e-bike mancano delle basi (tipo le e-bike), e il trekking urbano si scontra con quartieri che raccontano la decadenza più che la storia.
Savona da scoprire? Sì, con Google Maps e tanta pazienza.
E l’evento annuale che doveva lanciare l’outdoor? Ci sarebbe, ma pare si sia perso… nell’entroterra.

Tutto  sa di déjà-vu):

Savona ha un potenziale turistico. Ma si ostina a non crederci.
Il Patto promette una città inclusiva, accessibile, ricca di cultura e natura. Invece la realtà è quella di una città che si dà arie da capitale culturale, ma non sa nemmeno accogliere un turista con una mappa chiara, un bagno pubblico aperto e una navetta in orario.

È il turismo, bellezza. Ma qui, anche l’ospitalità sembra in ferie.

IL COMMERCIO

IL COMMERCIO – Dalle Serrande Abbassate alle Promesse Sbloccate

Nel grande bazar del “Patto per Savona”, anche il commercio si prende la sua vetrina. Una vetrina elegante, lucidata a dovere, peccato solo che dietro ci sia il nulla, o al massimo qualche scaffale vuoto.

“Riapriamo le serrande!”, tuona il programma. E noi, commossi, immaginiamo le serrande che si sollevano a rallentatore, tra applausi e fanfare, magari accompagnate da un assessore in fascia tricolore. Ma la realtà è che l’unica cosa che si alza con regolarità in città… è la polvere.

L’idea geniale è quella dei temporary store. Geniale! Dopo aver chiuso i negozi stabili, ecco arrivare quelli temporanei. Così, mentre gli imprenditori scappano, il Comune sogna negozi a tempo determinato, magari con dentro un manichino e una tenda Ikea. E non manca l’ideona “Sfitto a Rendere”, direttamente importata da Mantova, dove pare che funzioni. A Savona invece “Sfitto” c’è, ma “a rendere” poco o nulla.

Poi ci sono i “buoni spesa premiati se li usi nel negozio sotto casa”. Peccato che il negozio sotto casa, nella maggior parte dei casi, sia un muro con una serranda arrugginita e un cartello sbiadito con scritto “Affittasi”. E allora dove li spendiamo questi buoni? Nei sogni?

Capitolo “Premialità urbanistiche”. Un tripudio di tecnicismi che farebbero la felicità di un convegno di urbanisti, ma che in città si traducono in: “facciamo finta di fare qualcosa, intanto mettiamo qualche fioriera e speriamo che funzioni”.

E infine le manifestazioni. Ah, le manifestazioni! Quelle che dovrebbero animare Savona tutto l’anno. Ma la strategia comunale – che in teoria dovrebbe essere “governata con i Distretti” – somiglia più al gioco dell’oca: eventi improvvisati, pubblicità last-minute e location a sorpresa. Un giorno è il mercatino artigianale, il giorno dopo una mezza corsa di biciclette con tre spettatori e un vigile smarrito. Le “grandi potenzialità” restano sulla carta, insieme al calendario delle promesse.

Nel frattempo, i veri commercianti – quelli che hanno resistito alla pandemia, ai lavori infiniti, ai parcheggi inesistenti  e ora anche al deserto urbano – continuano a chiedere solo una cosa: smettetela di promettere. Aprite gli occhi, non solo le serrande.

CONTINUA

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