Il fuoco di Bucci sulla Val Bormida: quando l’esproprio diventa ricatto politico

“Alla fine dovremo fare l’esproprio. Però io non ci voglio arrivare.”
Con questa frase, pronunciata con apparente bonomia ma dal retrogusto minaccioso, il presidente della Regione Liguria, Marco Bucci, ha riacceso il dibattito sul termovalorizzatore regionale. Un dibattito che ormai non è più tecnico, ma politico, e che ha un bersaglio preciso: la Val Bormida.

Dietro le parole del governatore c’è molto più di una dichiarazione d’intenti. C’è una strategia che mira a spostare un impianto contestato lontano da Genova, scaricandolo sulle aree interne, quelle meno visibili, più deboli e spesso più ricattabili in termini economici e occupazionali.

Bucci lo dice chiaro: “Abbiamo parecchi sindaci favorevoli”. Peccato che nessuno si sia ancora assunto la responsabilità di firmare un accordo ufficiale. Forse perché – come spesso accade – la disponibilità manifestata in privato si scioglie quando si deve mettere nero su bianco il consenso dei cittadini.

Perché proprio in Val Bormida? Gli interessi dietro la “soluzione”

Le ipotesi sul tavolo sono due: Scarpino (Genova) e la Val Bormida (Savona). Ma la pressione è tutta su quest’ultima.
E non è difficile capire il perché.

A Genova, costruire un termovalorizzatore significherebbe affrontare le proteste dei cittadini, i vincoli urbanistici, e soprattutto il nodo Amiu-Iren, dove i costi e gli interessi non coincidono mai del tutto. A Cairo, invece, si può fare tutto: ci sono aree industriali già compromesse, terreni da “riciclare”, e una cokeria da bonificare che qualcuno vorrebbe far dimenticare sotto una colata di cemento e di cenere.

Un impianto in Val Bormida non sarebbe solo un modo per chiudere il ciclo dei rifiuti, ma per evitare la bonifica della ex Ferrania e della cokeria di Cairo, un’operazione costosa che da anni giace nei cassetti. Trasformare l’area in un polo del “recupero energetico” permetterebbe di dichiarare “rigenerata” la zona, senza dover rimuovere realmente le ferite del passato.

E poi c’è il business. Un termovalorizzatore da 320mila tonnellate non serve solo a bruciare i rifiuti liguri: serve a fare utili, accogliendo anche rifiuti industriali o provenienti da altre regioni. Altro che “economia circolare”: è la solita economia della combustione, dove a guadagnare sono le multiutility e a perdere, come sempre, i territori periferici.

 Quando la Regione gioca al piccolo duce dei rifiuti

Bucci dice: “Io posso solo espropriare, ma non mi sembra il caso”.
Ma pronunciare quella parola – esproprio – è già un atto di forza. È un modo per dire ai sindaci indecisi: se non firmate, vi scavalchiamo. È la logica del comando, non del dialogo.
Eppure la legge è chiara: la pianificazione ambientale deve passare dai Comuni, non da un decreto imposto dall’alto.

La realtà è che la Regione non ha ancora convinto nessuno perché non ha risposto alle domande essenziali:

  • Chi controllerà davvero l’impianto?
  • Quali garanzie ci sono sui rifiuti industriali?
  • Dove finiranno le ceneri e a chi spetteranno i costi di smaltimento?
  • E, soprattutto, chi pagherà quando – come accaduto altrove – la gestione privata farà profitti e i danni resteranno pubblici?

 Cairo come discarica di Stato

L’ombra che si allunga sulla Val Bormida è la stessa di trent’anni fa, quando la cokeria bruciava carbone e speranze. Oggi si chiama “termovalorizzatore”, ma il principio è identico: si brucia per guadagnare, e si racconta che è per il bene comune.

Per Bucci e per le aziende “già pronte”, la Val Bormida è la scelta ideale: lontana dai riflettori, economicamente fragile, con pochi strumenti per opporsi.
Genova brucerebbe solo rifiuti urbani, alleggerendo il proprio fardello.
Cairo, invece, brucerebbe anche gli industriali, risparmiando milioni di euro di bonifiche e creando nuovi spazi per “raddoppi” futuri.

La finta modernità del fuoco

Il termovalorizzatore non è un simbolo di modernità, ma di resa: la resa di una politica incapace di ridurre i rifiuti a monte, di promuovere il riciclo, di investire davvero nell’innovazione ambientale.
Ed è soprattutto la resa morale di chi pensa che un territorio possa essere sacrificato in nome di una “soluzione tecnica”.

Bucci dice che non vuole arrivare all’esproprio.
Ma se la politica continua a trattare la Val Bormida come una discarica, l’esproprio morale dei suoi cittadini è già cominciato.

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