Vent’anni di promesse e venti assunzioni a tempo determinato: così si misura il “successo” occupazionale del porto di Vado.
C’è da restare perplessi — per non dire increduli — davanti all’euforia del sindacato per l’annuncio di venti nuove assunzioni part time e a tempo determinato al Vado Gateway.
Una “boccata d’ossigeno”, la definisce il rappresentante della Fit Cisl, Danilo Causa, sottolineando il segnale di “vitalità e fiducia nel futuro del porto”.
Peccato che dietro queste parole si nasconda una realtà molto meno brillante.
Quando, tra il 2016 e il 2019, la piattaforma multipurpose di Vado Ligure veniva presentata come il grande volano economico del territorio, si parlava di oltre 700 posti di lavoro entro il 2020. Era il mantra ripetuto da istituzioni, sindacati e vertici aziendali: una promessa che avrebbe dovuto rilanciare non solo l’occupazione portuale, ma l’intera economia savonese.
Cinque anni dopo quella data, i numeri dicono altro: i dipendenti effettivi sono appena 210. Un terzo di quanto previsto.
Eppure, oggi, per venti contratti a termine, il sindacato si congratula come se fosse una conquista storica.
Ma di che cosa stiamo parlando? Di contratti part time, a tempo determinato, per coprire i picchi di traffico nei weekend. Un segnale di precarietà, non certo di stabilità.
Anzi, il ricorso a questa forma di lavoro conferma che l’organico è ancora sottodimensionato e che la “flessibilità” resta il modello prevalente anche nel cuore della nuova logistica ligure.
Dietro i toni entusiastici si cela quindi una domanda che nessuno pone:
che fine ha fatto la grande occupazione promessa?
Possibile che il principale polo logistico del Nord Ovest, con miliardi di investimenti pubblici, si riduca a celebrare venti contratti precari?
E ancora: il sindacato, che un tempo difendeva i diritti e chiedeva certezze, oggi si accontenta di vaghe assicurazioni sulla possibilità (forse) di stabilizzare qualcuno “un domani”?
Il caso Gateway è ormai il simbolo di un paradosso:
un’infrastruttura tecnologicamente all’avanguardia, ma socialmente povera.
Un porto che movimenta container, ma non crea lavoro vero.
Un sindacato che esulta per le briciole, invece di chiedere conto delle promesse mancate.
E allora, più che un segnale di fiducia, queste venti assunzioni sembrano l’ennesima fotografia della logistica dei mini numeri, dove i contratti sono corti, le speranze a termine e la dignità del lavoro sempre più imballata tra i container.





