C’è un cantiere che resiste a tutto, persino al buon senso. Si chiama Aurelia Bis, ma potrebbe tranquillamente essere ribattezzato Aurelia Bluff. Una variante attesa da almeno due decenni, una promessa infrastrutturale costata la bellezza di 273 milioni di euro pubblici e che oggi, nel 2025, è ancora lì: un gigantesco monumento all’incompiutezza, con i lavori fermi, i lavoratori senza stipendio da due mesi e l’ennesima assemblea sindacale che si preannuncia come un déjà-vu disperato.
Sette lavoratori, sette, sono tutto ciò che rimane dell’organico ridotto all’osso nei cantieri tra Albisola Superiore e Savona. Gli altri sono scappati: chi ha trovato di meglio, chi si è arreso all’assurdo. E mentre loro continuano a sporcarsi le mani di terra e calcestruzzo (quando riescono), la Ici – Italiana Costruzioni Infrastrutture, l’azienda appaltatrice – ha smesso di pagare. Non una parola, non un centesimo. Solo un silenzio assordante, quello che accompagna ogni annuncio tradito e ogni scadenza mancata.
La sceneggiatura è ormai tristemente nota: a ogni crisi di liquidità, una promessa. A ogni promessa, una smentita nei fatti. Si era detto: nuovo piano industriale a marzo. Siamo a maggio e ancora non si sa chi, cosa, quando, dove. L’opera è teoricamente all’85% del completamento, ma è proprio quel 15% mancante a pesare come un macigno sulla credibilità delle istituzioni e delle imprese coinvolte.
Intanto, il commissario straordinario Matteo Castiglioni, l’Anas, la Regione, il Prefetto e tutta la lunga catena di responsabilità si passano la palla come in una partita in cui non si vuole mai arrivare al tiro. E quando l’assessore regionale Raul Giampedrone viene pungolato dai sindacati per la latitanza della giunta, la risposta è la solita: colpa di altri, il nostro compito è “monitorare”. In pratica: guardare senza toccare.
Nel frattempo, i lavoratori restano senza salario, con la prospettiva di nuove iniziative sindacali e la concreta possibilità che anche gli ultimi irriducibili mollino il colpo. Una beffa, se si pensa che lo Stato – cioè noi contribuenti – ha già versato centinaia di milioni per vedere sorgere un’infrastruttura considerata “strategica” da chiunque ne parli. Strategica, sì, ma solo nelle interviste. Nella realtà è una barzelletta da 5,2 chilometri che fa piangere più che ridere.
È ora di dire basta. Basta con i comunicati che promettono miracoli, basta con le scadenze mai rispettate, basta con gli incontri-farsa in prefettura. Serve un intervento immediato dell’Anas, serve chiarezza, serve soprattutto rispetto per chi lavora e per una comunità che ha creduto in un’opera che doveva cambiare la mobilità savonese e che invece è diventata una cicatrice nel paesaggio.
L’Aurelia Bis è il simbolo di un’Italia che progetta troppo e realizza poco. Dove a forza di tagli di nastri e rendering 3D si dimentica l’essenziale: finire i lavori, pagare chi lavora, restituire qualcosa di concreto alla collettività.
Finché questo non accadrà, resterà solo una parola: vergogna.