Ho letto il messaggio del vecchio militante del PD, e capisco la sua amarezza. Ma, permettetemi, leggere certi nomi evocati con nostalgia – gli artefici dei derivati che hanno massacrato i conti del Comune, i registi del disastro ATA – come possibili salvatori dalla deriva della Giunta Russo suscita in me più rabbia che comprensione. E, lo ammetto, anche un po’ di ilarità.
Criticare Marco Russo è non solo legittimo, ma doveroso. Ma usare come metro di paragone la giunta Berruti o quelle di centrodestra è come cercare frescura in un forno acceso. Tutte le amministrazioni degli ultimi vent’anni hanno seguito la stessa ricetta: spartizione, autoreferenzialità e fedeltà ai soliti noti.
E in questa cucina politica il Partito Democratico è sempre stato lo chef. Il PD ha deciso tutto, da destra a sinistra. È riuscito persino a mettere il becco nelle elezioni dei sindaci di centrodestra: sostenne Francesco Gervasio contro il proprio candidato, quel galantuomo di Aldo Pastore, e poi preferì Ilaria Caprioglio ad una troppo autonoma Cristina Battaglia.
Con Russo, la scelta è stata ancora più imbarazzata: un appoggio freddo, dettato dalla convenienza e non dalla convinzione. Non avevano un candidato credibile, e alla fine hanno puntato su un nome debole, sperando che bastasse per gestire il potere. È un errore che potrebbe costare caro, e su questo ha pienamente ragione il vecchio militante.
Ma la verità è che, anche questa volta, il PD è stato determinante. Solo che a dargli una mano, paradossalmente, è stato proprio il centrodestra, candidando Schirru. Un regalo inatteso, che ha permesso al PD di vincere una battaglia che sembrava persa in partenza.
Il problema, dunque, non è solo Russo. È l’intero sistema di cooptazione che il PD ha costruito e gestito per anni. Cambiano le facce, ma i burattinai restano sempre gli stessi. E finché sarà così, Savona resterà in ostaggio delle sue stanche liturgie di potere.