C’è una storia che a Vado Ligure nessuno ha voglia di raccontare, eppure riguarda milioni di euro pubblici, promesse mancate, e una multinazionale – Maersk – che oggi pare giocare su un altro scacchiere, con altre regole. La denuncia arriva da una causa di lavoro a Genova, ma il caso sollevato dal giornalista Marco Preve su la Repubblica rivela molto di più di un semplice licenziamento.
A Vado Ligure quindici anni fa si prometteva sviluppo, occupazione, rilancio del territorio grazie alla “grande piattaforma” container. Costo complessivo? 450 milioni, di cui ben 300 a carico dello Stato italiano e degli enti pubblici locali. Il colosso danese APM Terminals – controllato da Maersk – si presentava come partner globale affidabile, pronto a trasformare un territorio in crisi in un hub logistico moderno e competitivo.
La realtà del 2025, invece, racconta una storia diversa. La dipendente licenziata a Genova che ha fatto causa dopo essere stata licenziata – assieme ad altri tre colleghi del reparto informatico “Workflow” – rivela un retroscena che ha dell’incredibile: i loro ruoli sono stati eliminati perché trasferiti in India e nelle Filippine, dove lo stesso lavoro viene svolto da sistemi di Intelligenza Artificiale gestiti con regole decisamente più flessibili – per non dire inesistenti – rispetto all’Europa, dove da agosto 2024 è in vigore l’AI Act.
Una beffa nella beffa: non solo Maersk taglia personale senza difficoltà economiche (nel 2024 ha chiuso con un +65% di margine operativo), ma non tenta nemmeno il ricollocamento dei lavoratori, preferendo pagare buone uscite e chiudere il caso. Uno di questi, però, ha deciso di fare causa. E raccontando il ricorso del dipendente di Genova il giornalista spalanca una porta che a Vado nessuno vuole aprire: I numeri che non tornano
L’accordo siglato nel 2011 tra APM Terminals e Autorità portuale di Savona parlava chiaro: a pieno regime, la piattaforma di Vado Ligure avrebbe dovuto generare 645 nuovi posti di lavoro. Ma oggi, secondo i dati Inps, i dipendenti effettivi sono 392, includendo anche i 128 del Refeer Terminal (già della famiglia Orsero) e i 54 della consociata ZPMC, che con Maersk ha poco a che fare. Quindi i nuovi posti effettivi generati dalla piattaforma sono meno della metà di quanto promesso.
Dove sono finiti gli impegni? Dove sono i controlli delle istituzioni?
Il caso ha provato a sollevarlo anche il Comune di Genova ma Maersk ha risposto negando persino i nomi dei dirigenti. I consiglieri regionali Selena Candia e Jan Casella hanno presentato un’interrogazione. Nessuna risposta. Silenzio anche da parte della Regione Liguria, che pure aveva finanziato con fondi europei la formazione di personale specializzato, oggi in parte sostituito da algoritmi offshore.
Ed è qui che entra in gioco il silenzio più pesante: quello savonese. A Savona e a Vado nessuno parla, nessun media locale la rilancia, nessun sindaco – né quello attuale né quello del passato – osa fare domande scomode. Forse per paura, forse per convenienza, forse per quella consueta sindrome di sudditanza verso i grandi capitali che promettono miracoli e lasciano detriti.
Eppure si tratta di denaro pubblico, di un intero territorio che ha scommesso su un progetto, di famiglie che avevano creduto nel “posto fisso” portuale. Ma oggi tutto si gioca altrove. A Mumbai. A Pune. In un algoritmo che lavora 24 ore su 24 per ottimizzare i container. Più efficiente. Più economico. Più silenzioso.
Come le istituzioni che, anche stavolta, hanno preferito voltarsi dall’altra parte.
N.B. Grazie a Marco Preve che ha avuto il coraggio di rompere il silenzio. Ora tocca a chi vive e scrive dalla Liguria non far cadere il caso nell’oblio. Perché quando il lavoro viene sostituito da un’intelligenza artificiale senza diritti, il primo a diventare superfluo non è il dipendente. È la democrazia.