Altro che strategia regionale: tra rinvii, ipotesi, e sindaci in ordine sparso, si prepara un conto salato che pagheremo tutti – anche a Savona
Dove si farà il termovalorizzatore della Liguria? Una domanda che ormai aleggia come una nube di fumo (non ancora tossico, ma poco ci manca) su tutto il savonese. La Regione nicchia, i tecnici studiano, i sindaci oscillano e intanto la Val Bormida si trova, ancora una volta, al centro di un risiko ambientale dai contorni paradossali. L’ultima ipotesi? L’area delle ex Funivie di Cairo, 12 ettari collegati alla ferrovia, con tutti i requisiti logistici per ospitare un impianto da 300.000 tonnellate l’anno. Ma, come ha tagliato corto il sindaco di Cairo Montenotte Paolo Lambertini, “a Cairo non c’è spazio finché esiste l’Italiana Coke”.
Il che suona quasi rassicurante, se non fosse che quella stessa frase potrebbe rivelarsi, tra qualche mese, solo un modo elegante per prendere tempo.
Nel frattempo, al tavolo tecnico provinciale siedono anche gli altri amministratori della vallata: Dotta, sindaco di Cengio, che riconosce l’importanza di approfondire il tema delle emissioni, e Mirri, sindaco di Carcare, parte di una zona che verrebbe comunque colpita dalle conseguenze ambientali e logistiche di un impianto simile. Ma la sensazione è che si navighi a vista. Il confronto tecnico procede senza una visione unitaria, e il dibattito – come ha detto la CGIL – si riduce a uno scambio di “figurine” politiche.
E infatti si prende tempo: la tanto attesa manifestazione d’interesse di ARLIR è stata rinviata su richiesta della Provincia di Savona. Una richiesta che ha fatto drizzare le antenne a molti: che senso ha che sia proprio Savona, potenzialmente colpita dagli effetti di un impianto piazzato in Val Bormida, a chiedere il rinvio di una procedura regionale cruciale? Qualcuno azzarda l’ipotesi di un accordo sottobanco per evitare che l’impianto finisca in territori più “pesanti” elettoralmente. Qualcun altro, più schietto, nota che Genova – che da sola produce oltre la metà dei rifiuti della Liguria – resta magicamente fuori da ogni scenario.
Un’assenza che grida vendetta, visto che Genova è, da anni, la maglia nera del Nord Italia per la raccolta differenziata. I numeri sono imbarazzanti, eppure nessuno ha il coraggio di dire che forse sarebbe logico, sensato – e soprattutto giusto – realizzare un impianto di smaltimento nella città capoluogo, oggi amministrata da Silvia Salis, che continua a sbandierare visioni sostenibili e svolte green ma senza metter mano al vero problema: la gestione dei rifiuti urbani.
Ma una domanda sorge spontanea: se i tavoli tecnici si fanno in provincia di Savona, perché non si fanno anche in provincia di Genova, dove si produce la maggior parte dei rifiuti e dove le soluzioni – finora – sembrano sempre spettare agli altri?
E i consiglieri regionali savonesi? Spariti.
In tutta questa vicenda, colpisce il silenzio – o quantomeno la scarsa chiarezza – del gruppo dei consiglieri regionali eletti proprio nel savonese. Bozzano, Casella, Invernizzi, Arboscello, Vaccarezza: cinque nomi, cinque poltrone in Regione, e un impianto che potrebbe cambiare il destino ambientale della provincia… ma nessuna posizione forte, nessuna presa di responsabilità concreta, nessuna strategia leggibile.
Sono lì, ma non si sentono. Nessuno di loro sembra voler mettere la faccia su un tema che invece dovrebbe essere centrale per chi rappresenta un territorio già provato da decenni di servitù industriali e di decisioni calate dall’alto. Possibile che su una questione di tale portata tutto si riduca a timide dichiarazioni, voci riportate e mezze frasi? È ora che dicano chiaramente da che parte stanno: con la tutela dei cittadini della Val Bormida o con la logica del “facciamolo dove costa meno voti”?
E se il sito prescelto finisse davvero a Ferrania? Sarebbe la soluzione “facile”: lontana dagli occhi dei grandi centri, tecnicamente “ottimale”, in una zona che ha già pagato un conto ambientale salatissimo. Ma sarebbe anche una beffa: per Cairo, per Savona (che dista pochissimo in linea d’aria), per tutto il savonese. E mentre qualcuno parla di compensazioni, occupazione, investimenti per oltre 500 milioni, altri, come la CGIL, parlano giustamente di una totale assenza di strategia.
Il Partito Democratico, che su questa partita sembra muoversi con il manuale dell’inceneritorista convinto sotto braccio, ha tutto da perdere in termini di credibilità. Dopo anni di proclami verdi, finisce a sostenere un impianto che dovrebbe risolvere sì il ciclo dei rifiuti, ma rischia di aggravare il bilancio sanitario e ambientale di una vallata già provata.
E così, mentre a Genova si continua a produrre immondizia e si guarda altrove per lo smaltimento, a Savona e Cairo si litiga sulle mappe, si invocano tavoli tecnici, si rincorrono voci di corridoio. Ma il dado potrebbe essere già tratto. E se davvero finirà tutto su Ferrania, pagheremo in tanti – anche chi oggi crede di essere “fuori dalla zona rossa”.
Altro che “transizione ecologica”: sembra piuttosto un ritorno al passato. Un passato in cui l’entroterra è il tappeto sotto cui si spazza lo sporco della modernità.