SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA’

I° CONGRESSO PROVINCIALE DI SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA’
La relazione di Sergio Acquilino al congresso di sinistra ecologia libertà.
Tra l’altro contiene anche la posizione del SEL in merito alle prossime elezioni comunali di Savona.

RELAZIONE INTRODUTTIVA AL I° CONGRESSO PROVINCIALE DI SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA’

Savona – Teatro Sacco – 12 ottobre 2010

 

Care compagne e cari compagni, cari amici

con questo congresso nasce Sinistra Ecologia e Libertà, e questo è motivo di grande orgoglio e soddisfazione per tutti noi che in questa avventura abbiamo messo passione, impegno e fatica.

 E’ un risultato che non era affatto scontato, se solo ci volgiamo indietro e ripercorriamo, guardando a sinistra, la cronaca politica degli ultimi anni.

Abbiamo dovuto superare tante resistenze e tanti dubbi, spesso anche dubbi legittimi, ma ancora più spesso figli dell’attaccamento esasperato alle singole identità, che hanno impedito ai gruppi dirigenti di Rifondazione Comunista, dei Comunisti Italiani, e poi a quelli dei socialisti e dei verdi, di contribuire a dare un’unica organizzazione politica alla sinistra e all’ambientalismo.

Naturalmente si tratta di singole identità tutte rispettabili, alcune portatrici di grandi speranze ed artefici di gloriose battaglie contro le ingiustizie o per salvare questo nostro mondo dalla catastrofe ecologica.

Ma si tratta da una lato di identità messe a dura prova dal ‘900 e ridotte, almeno in Italia, a dimensioni del tutto inadeguate a svolgere ancora per il futuro quell’immane compito che la storia ha assegnato loro nel secolo scorso.

Un partito comunista o socialista, ad esempio, esiste ed ha un senso politico solo se ha dimensioni di massa, se ad esso partecipano, con l’adesione o quantomeno con il consenso elettorale, milioni di donne e di uomini.

Ed un partito verde ha un senso se comprende che l’agonia del pianeta è diretta conseguenza del liberismo e dell’economia capitalistica (e quindi delle forze moderate e di destra che li sostengono) per cui è del tutto assurdo ritenere, come sembra proporre il portavoce nazionale Bonelli, che i verdi non devono essere “né di destra né di sinistra”.

Certamente i verdi in quanto partito possono essere né di destra né di sinistra, ma la salvezza del pianeta dal disastro ecologico non si compirà se non sostituendo il modello economico capitalistico, che ha nel liberismo esasperato il suo credo politico.

Queste sono, in estrema sintesi, le ragioni per cui crediamo che sia stato un errore da parte di queste forze politiche non aderire al progetto di un cantiere comune di ricostruzione della sinistra e, ne siamo consapevoli, questa mancata adesione ha mutato in parte il progetto originario.

Prendendo atto, criticamente, che rimarranno autonome l’identità socialista, quella comunista e quella verde, ci siamo quindi chiesti se valesse ancora la pena di portare avanti gli sforzi per costruire una nuova forza politica di sinistra.

Nonostante legittimi dubbi, la riposta è stata positiva poiché la defezione dei gruppi dirigenti di Rifondazione, dei socialisti e dei verdi non ha impedito a molte compagne e compagni provenienti da queste esperienze di accettare la sfida ed unirsi a tutti noi nel tentativo di ricostruire un forte soggetto politico di sinistra.

Ed per questo che, tutti insieme, abbiamo ritenuto di procedere su questa strada che non vuole aggiungere un altro soggetto a quelli esistenti, ma che vuole essere il lievito ed il sale, come è stato detto, per far crescere un nuovo grande ed unitario partito della sinistra.

Che ci sia bisogno di sinistra in Italia è evidente e lo stato dell’opposizione parlamentare, per la prima volta dal dopoguerra senza i partiti della sinistra, è un chiaro esempio di ciò.

E le modalità con cui si è arrivati all’ultima vittoria elettorale della destra, due anni fa, è un esempio di come la vecchia sinistra non fosse più all’altezza dei suoi compiti.

Se ben ricordate quella fu, dopo l’esperienza di certo non esaltante dell’ultimo governo Prodi, la campagna elettorale della c.d. “separazione consensuale” tra Veltroni e Bertinotti, e, figlia di questa, del “voto utile” contro Berlusconi che da un lato spinse Rifondazione a rifugiarsi nella sua identità e dall’altro indusse tanti compagni, giustamente preoccupati della prospettiva di un nuovo governo di destra, a votare per il PD autosufficiente e tantissimi altri ad astenersi.

Quel PD che, badate bene, non aveva nessuna intenzione di presentarsi come la nuova sinistra (e neppure come la DC di De Gasperi, partito di centro che guardava a sinistra), ma semplicemente come un partito di centro, particolarmente sui temi economici e del lavoro, come confermava la candidatura dell’industriale Calearo o le proposte sul lavoro di Ichino, pure lui candidato.

Queste sono state le premesse per la vittoria della destra, e le persone sinceramente democratiche si sono ritrovate nel dilemma tra il c.d. voto utile e l’astensionismo di massa.

In queste condizioni la vittoria della destra, che forse ci sarebbe stata in ogni caso, visti gli errori del precedente governo di centrosinistra, è stata ancora più ampia.

E l’ampiezza di questa vittoria è stata anche la ragione per cui Berlusconi ha pensato, oltre che a risolversi a colpi di leggi su misura i suoi pesanti guai con la giustizia, anche a radere al suolo l’impianto costituzionale democratico, sostituendolo con quello di una democrazia autoritaria, dove il contenuto della parola democrazia si ridurrebbe solo alla periodica chiamata alle urne.

Ed è anche sintomatico che questi pesanti attacchi alla nostra Costituzione, che hanno caratterizzato la discussione politica dei mesi scorsi, non siano stati battuti da un muro eretto dalle opposizioni, ma siano usciti dalle recenti cronache politiche solo a causa della battaglia interna alla destra, personalizzata dallo scontro frontale tra Berlusconi e Fini, ma avente in realtà radici più profonde ed estese, come dimostrano i recenti dossier sulla Marcegaglia.

Una battaglia che potremmo definire, estremizzando la sintesi, tra un populismo personalistico alla Peron ed una destra di natura liberale e conservatrice, alla Thatcher.

Ma lo scontro tra queste due anime della destra, che appare oggi irriducibile, non deve trarci in inganno e farci percepire amici dove questi non ci sono.

Perchè se è vero che sulle leggi fatte su misura per Berlusconi c’è oggi, almeno in parte, una retromarcia di Fini (ma ricordiamo che fino ad ieri lui le ha sempre approvate e sostenute) sul fronte della distruzione dei diritti dei lavori e su quello della riduzione degli spazi di democrazia effettiva, nell’ambito della destra e delle forze moderate l’accordo è unanime.

Esempi di questo ce ne sono a decine, dal decreto legislativo che ha limitato la responsabilità dei dirigenti e ridotto le pene per gli infortuni sul lavoro, alla diminuzione della pressione fiscale sulle rendite immobiliari, dalla sostanziale distruzione della scuola pubblica indotta dalla controriforma Gelmini (a cui si accompagna il sostegno alle scuole private) alla legge recentemente approvata dal Parlamento che riduce la possibilità di impugnare i licenziamenti illegittimi, e così via, passando per le centrali nucleari, la privatizzazione dell’acqua e la svendita del patrimonio demaniale.

Ecco perchè fanno sorridere le proposte di chi, a volte anche all’interno del PD, vagheggia di governi che comprendano i c.d. finiani.

Fini può anche esserci simpatico quando fa venire la bile al Cavaliere, ma è, e rimane, sempre un avversario, un uomo di destra, una persona che, al di là del suo passato che potremmo anche dimenticare, ha nei suoi programmi proposte che mai potremmo condividere e quindi mai potremmo pensarlo come alleato di governo.

Altra cosa sarebbe, beninteso, una maggioranza parlamentare pur eterogenea, ma effimera, che avesse il solo compito di modificare l’attuale legge elettorale e guidare il paese fino alle elezioni, da tenersi la prossima primavera, con una nuova legge elettorale che riconsegni agli elettori il potere di scelta.

Ma è consapevolezza comune che, senza cambiamenti sostanziali sul fronte del centro sinistra, c’è il rischio che le elezioni continuino ad essere vinte dalla destra.

Le evidenti difficoltà del governo hanno infatti paradossalmente messo in luce le altrettanto gravi difficoltà dell’opposizione, tanto è vero che nelle scorse settimane è stato pubblicato un sondaggio dove si vedeva che, fatto alquanto insolito, negli ultimi mesi era calata nettamente sia la fiducia nel governo, sia quella nell’opposizione.

Questo può voler dire solo una cosa, e cioè che questa opposizione, così com’è oggi, con queste forze politiche, con i suoi leader e con i suoi programmi, non è percepita come una reale alternativa al governo ed il prossimo appuntamento elettorale si paventa come contraddistinto da una specie di gara al ribasso.

D’altra parte quali altre idee si potrebbero fare i cittadini di fronte alle recenti polemiche in casa PD tra un Veltroni resuscitato ed il segretario Bersani, delle quali nessuno ha compreso il significato e, soprattutto, la necessità.

E se il governo non ha messo in campo una sola proposta per fronteggiare la grave crisi economica che stiamo attraversando, lasciando per mesi scoperto il ministero dello sviluppo economico (quello dello sviluppo economico, non quello dello spettacolo …) il PD nella recente assemblea di Busto Arsizio ha pensato di proporre, tra l’altro, la riduzione delle tasse alle imprese.

E la proposta di riduzione delle tasse sulle rendite immobiliari, a cui ho fatto cenno prima e che il governo ha realizzato, era già uscita dalla bocca di esponenti del precedente governo di centrosinistra ed è stata confermata nell’assemblea nazionale di Busto Arsizio.

Questo dimostra quanto certa politica sia lontano dalla gente e dai suoi bisogni e dimostra altresì che contano di più alcuni poteri forti, che rappresentano gli interessi di un gruppo ristretto di cittadini, piuttosto che quelli delle persone comuni, che vivono di quel poco che ricavano dal proprio lavoro sia come stipendio che come pensione.

Ed infatti è accaduto negli ultimi anni che, come è emerso da una ricerca delle CGIL, il potere di acquisto dei salari si sia ridotto di 5.500 euro e, come ci dicono le statistiche, la ricchezza si vada sempre più concentrando in poche mani e sempre di più siano le famiglie che vivono sulla soglia di povertà o addirittura al di sotto.

Certo che in queste condizioni pensare di affrontare la crisi riducendo le tasse sulle imprese è quantomeno anomalo per un partito che dovrebbe farsi carico “anche” dei problemi delle classi più povere.

Ma proprio qui sta il problema del PD, nella sua versione veltroniana che Bersani – ammesso che lo volesse – non è riuscito a scalfire.

Ed in questo contesto le critiche che rivolgiamo amichevolmente al PD, perchè noi non ci sentiamo affatto suoi avversari, ci paiono del tutto ragionevoli e ci sembra sbagliato quindi che Bersani recentemente abbia sostenuto che le critiche al PD agevolano una nuova vittoria di Berlusconi, riproponendo in termini diversi la teoria del voto utile, che tanti danni ha fatto alla sinistra ed allo stesso PD.

Il problema del PD è che non ha riferimenti sociali, è che se vuoi rappresentare tutti (il c.d. Partito dell’elenco del telefono) poi, in realtà, non riesci a rappresentare nessuno o, come gli altri della destra, ti riduci a rappresentare solo i più forti, quelli che tengono le leve del potere economico e di quello mediatico, figlio naturale del primo.

Ma se questo fosse solo il problema del PD potremmo anche dire che non ci riguarda, che non riguarda noi che invece questi riferimenti sociali li abbiamo e li vogliamo mantenere.

Purtroppo non è così semplice perchè quando il maggiore partito “progressista”, passatemi il termine, perde i suoi riferimenti sociali nel mondo del lavoro vengono meno le tutele per milioni di persone.

Solo così si spiega perchè di fronte al pesante attacco che la FIAT ha portato al sindacato ed ai diritti dei lavoratori dal PD si siano levate soltanto voci flebili e contraddittorie, del tutto insufficienti ad impedire che si svuotasse di contenuto il contratto nazionale di lavoro, ultimo baluardo a tutela del reddito e dei diritti di chi lavora.

Noi chiediamo quindi al PD, di cui riconosciamo l’importanza e con cui vogliamo costruire alleanze, di riappropriarsi della sua funzione sociale, di quella funzione sociale che perfino la stessa DC aveva e, almeno come la già citata DC di De Gasperi (ma anche quella di Zaccagnini, di La Pira e di altri), ci piacerebbe che il PD iniziasse di nuovo a guadare a sinistra.

E gli chiediamo quindi di farsi carico di una discontinuità con l’oggi, ma anche con l’ultimo centro sinistra, e di riproporsi come perno dell’alternativa alla destra proponendo un programma di governo che parta dalla difesa della Costituzione e dalla affermazione nel concreto agire politico dei principi costituzionali, a partire dal ripudio della guerra e dalla ricerca della pace, dalla tutela del lavoro in tutte le sue forme, dalla funzione sociale dell’impresa e della proprietà privata, della scuola pubblica, e così via.

Ecco, facciamo della Costituzione e del suo inveramento il programma della prossima alleanza elettorale e di governo, questa è la proposta rivolta al PD.

Costruiamo una coalizione ampia e coesa, almeno sui punti fondamentali, e scegliamone il leader attraverso una larga consultazione democratica come sono le elezioni primarie.

Su questo tema sinceramente non comprendiamo il tentativo di delegittimare la candidatura di Vendola, che perpetua l’errore che per battere la destra bisogna per forza candidare qualcuno di centro, come D’Alema voleva fare in Puglia.

Sarebbe invece ora che qualcuno capisse che per battere la destra non dobbiamo inseguirla in una dissennata corsa al moderatismo, ma bisogna fare una politica alternativa e candidare persone che esprimano qualcosa di nuovo, e Vendola è certamente tra queste.

E poi noi chiediamo solo di poter decidere tutti assieme, attraverso le primarie, il candidato da contrapporre alla destra, come hanno potuto fare gli elettori della Puglia nelle ultime due consultazioni regionali.

Battere Berlusconi e la destra non è impossibile, ma per farlo bisogna rimotivare quei milioni di elettori che, non distinguendo bene tra le proposte degli uni e degli altri, alle scorse elezioni non sono andati a votare, bisogna dare loro un nuovo centrosinistra degno di questo nome.

Quella di costruire un nuovo centrosinistra è un’impresa che dobbiamo perseguire anche a livello locale, tanto più che nella prossima primavera ci saranno certamente le elezioni per il comune di Savona.

Qui abbiamo una amministrazione comunale uscente di centro sinistra, che ne ha seguito altre, sempre di centro sinistra, sul cui operato non possiamo dare un giudizio positivo.

Certo, sono stati fatti sforzi e si sono mantenute alcune tutele sociali, ma c’è stata da molti anni a questa parte una sostanziale abdicazione del ruolo guida dello sviluppo economico che l’ente pubblico, anche a livello locale, deve perseguire.

In altri termini a Savona in parte si è delegato questo ruolo all’Autorità portuale ed in parte si sono lasciati liberi i privati di trasformare il territorio secondo le loro esigenze speculative, senza la guida ed i vincoli di uno strumento urbanistico generale.

E così abbiamo assistito alla realizzazione di innumerevoli trasformazioni edilizie di zone inedificate o di zone industriali dismesse in abitazioni o, al più, in centri commerciali.

A Savona così sono diminuiti notevolmente gli abitanti ma sono aumentate le abitazioni residenziali per fasce medio-alte di reddito, senza che venisse costruito un solo metro cubo di edilizia economica popolare.

E la trasformazione ha riguardato anche aree, come la ex Italsider o la ex Metalmetron, che ben avrebbero potuto mantenere una destinazione produttiva, a servizio del porto la prima ed a quello della piccola industria la seconda.

E vi sono stati poi altri segnali contraddittori, come la sigla con il ministro Maroni del c.d. patto per la sicurezza, dove questa è vista secondo gli occhi militaristici della destra, come se bastasse aumentare il numero dei poliziotti o adibire i vigili a servizi di ordine pubblico per sradicare una criminalità che trova sempre più radici nel degrado sociale e culturale e nelle vecchie e nuove segregazioni.

Anche sotto l’aspetto ambientale si sarebbe certo potuto fare di più, ad esempio attuando la raccolta differenziata porta a porta su tutto il territorio comunale.

Sul terreno della memoria storica della Savona democratica e antifascista sarebbe stato ad esempio doveroso ricordare i 20 anni della scomparsa del presidente Pertini, al quale peraltro la città di Savona non ha ancora dedicato neppure una via.

Ma questi sono solo alcuni esempi della necessità di una analisi critica delle politiche amministrative degli ultimi anni, politiche nelle quali le idee ed i principi della sinistra, ma anche soltanto quelli di una corretta gestione del territorio, sono state spesso assenti.

Ho detto chiaramente che noi vogliamo costruire un nuovo centrosinistra anche a livello locale e quindi queste critiche non esprimono volontà di rottura ma, evidentemente, non richiamano neppure ad un accordo già fatto, magari in cambio di un qualche assessorato.

Anche perchè queste critiche non sono solo nostre, circostanza che – ne siamo consapevoli – non potrebbe impensierire più di tanto il PD, ma si sviluppano tra la gente (anche tra molti elettori del PD) e coinvolgono non poca parte della cultura cittadina.

Occorre quindi cambiare e bisogna farlo nella consapevolezza che il cambiamento è un’esigenza diffusa.

Quattro sono quindi i presupposti di partenza per una nuova alleanza di centrosinistra che sappia porsi in modo originale rispetto al passato di fronte ai problemi della città.

Il primo è un’idea di sviluppo economico che conservi alla città una vocazione industriale e produttiva, anche se unita a quella commerciale e turistica, per cui occorre valutare la rispondenza a questo obiettivo di tutte le trasformazioni urbanistiche che non siano già state realizzate.

Il secondo presupposto è una cessione di sovranità, nei limiti ovviamente delle leggi vigenti, da parte del sindaco e dell’esecutivo verso il consiglio comunale e la maggioranza di governo, nel senso che le decisioni più importanti vanno assunte coinvolgendo i consiglieri comunali ed i cittadini attraverso un nuovo decentramento, che andrà ripensato, ma non abbandonato.

Il terzo presupposto è che le decisioni sullo sviluppo della città e sull’utilizzo del territorio devono ritornare alla piena responsabilità pubblica, che attraverso la programmazione urbanistica deve assumersi il compito di stabilire dove, come e cosa costruire, mettendo anche fine al consumo indiscriminato del territorio.

Il quarto presupposto è che si voglia una città inclusiva dove la sicurezza e la serenità siano garantite più dalla mancanza di disagio e di sofferenza altrui che non dal numero di poliziotti in giro per le strade, dove gli stranieri siano integrati attraverso azioni positive che riconoscano le differenze culturali e ne favoriscano la reciproca convivenza, dove i giovani abbiano spazi autogestiti per esprimere liberamente la loro personalità, dove gli anziani ed i disabili mantengano i servizi di sostegno.

Una città, infine, dove non si smarrisca la memoria storica della Resistenza e di coloro che hanno combattuto il nazifascismo, creando i presupposti per l’assegnazione della Medaglia d’oro al Valor Militare.

Naturalmente in questi quattro punti non c’è tutto il programma elettorale, ma senza una loro sostanziale condivisione, e senza la loro attuazione attraverso precisi progetti di governo, vedo molto difficile trovare un’intesa nell’ambito del centrosinistra.

Per quanto riguarda le alleanze noi non poniamo pregiudiziali che non siano quelle verso il centrodestra, né ne poniamo verso il candidato sindaco proposto dal PD, anche se evidentemente il candidato sindaco del centrosinistra dovrà essere deciso dalla intera coalizione, senza escludere a priori altre candidature, anche di sinistra, da sottoporre a forme di consultazione dei cittadini attraverso il metodo delle primarie.

Io credo che il cambiamento convenga politicamente anche al PD, perchè – come ho detto prima – lo reclama anche una consistente parte del suo stesso elettorato.

In ogni caso, se da parte del PD non giungeranno le necessarie aperture, noi lavoreremo lo stesso per dare un’alternativa alla città e ci misureremo con tutti coloro che, nell’ambito della sinistra e dei movimenti, vorranno contribuire al cambiamento.

Saranno poi gli elettori a fare le loro scelte.

Non possiamo infatti abbandonarci all’errore di accettare compromessi al ribasso, facendoci complici di un dissennato sviluppo urbanistico e di scelte che non condividiamo, e che non sarebbero neppure comprese da tanti elettori, solo in nome della contrapposizione al centrodestra.

Secondo noi la contrapposizione al centrodestra deve risultare evidente dalle scelte che sottoponiamo agli elettori, che devono percepire immediatamente le differenze tra noi e loro in termini di progetto e di vita della città.

Ovviamente non vogliamo sostenere che l’amministrazione di centrosinistra di Savona, che pure critichiamo, sia al livello, ad esempio, di quella di centrodestra che amministra la provincia, diciamo solo, però, che dobbiamo fare di più per distinguerle e farle distinguere dalla gente e che solo in questo modo si riacquisterà piena fiducia dai cittadini.

Certo il basso livello dell’amministrazione provinciale non è facilmente raggiungibile e su questo sollecitiamo un incontro tra tutte le forze del centro sinistra per predisporre azioni efficaci di denuncia dell’inerzia e dell’inadeguatezza dell’amministrazione provinciale, limiti particolarmente pesanti nel contesto di crisi economica ed occupazionale che stiamo attraversando.

Crisi come quelle della Ferrania, della Piaggio, dei Cantieri Baglietto, dei Rodriquez, per citarne solo alcune, sono prive di un valido interlocutore nell’ente locale a livello provinciale e questo lo sanno bene le organizzazioni sindacali ed i lavoratori interessati.

Ed anche sul piano della difesa dell’ambiente la provincia è incapace da un lato di dare attuazione al piano provinciale dei rifiuti predisposto dalla precedente amministrazione (che alcuni assessori vorrebbero peraltro cambiare introducendo l’inceneritore) e dall’altra stà tenendo una posizione molto ambigua sull’ampliamento della centrale a carbone di Vado Ligure.

Proprio sulla centrale la provincia di Savona potrebbe invece, e secondo noi dovrebbe, giocare un ruolo forte nei confronti della proprietà imponendo da subito un piano straordinario di controlli attraverso soggetti terzi, includendovi i controlli che oggi non vengono fatti o che vengono fatti dagli stessi gestori della centrale.

Sul controverso tema dell’ampliamento della centrale a carbone noi abbiamo già avuto modo di affermare la nostra contrarietà, sia perchè riteniamo che il consumo e l’impiego di combustibili fossili debba essere ridotto e non incrementato, sia per le conseguenze sulla salute dei cittadini in un’area, quella vadese, dove ci sono già forti impatti ambientali negativi e dove altri (Maersk e Nordiconad) stanno per arrivare.

Certo comprendiamo le ragioni dei lavoratori della centrale e quelle del sindacato e siamo consapevoli che in una realtà in crisi come la nostra diverse decine di posti di lavoro in più possono dare un reddito sicuro a molte persone.

Tuttavia abbiamo ancora bene in mente la vicenda dell’ACNA di Cengio, dell’inquinamento che essa ha prodotto per anni distruggendo la vita del fiume Bormida e provocando tumori nei lavoratori alle sue dipendenze.

Anche in quel caso il sindacato era costretto a difendere la fabbrica per difendere i posti di lavoro, ma è stata una battaglia persa, perchè per difendere il lavoro non è sostenibile difendere produzioni inquinanti o altrimenti nocive per i lavoratori e per gli abitanti del luogo, ed alla fine la fabbrica è stata chiusa.

Sarebbe grave e pericoloso e perdente per tutti, salvo che per l’impresa, riproporre lo scontro tra lavoro, salute ed ambiente e la difesa del lavoro non può che arrestarsi di fronte a produzioni che non creano ricchezza, se non per il padrone, e portano invece distruzione ambientale e malattie.

Altro è lo sviluppo che abbiamo in mente per la nostra zona, come ho detto parlando della necessità di mantenere a destinazione produttiva le aree industriali dismesse, ragionamento che non vale ovviamente solo per Savona ma che bisogna estendere a tutta la provincia.

E vi sono poi altre battaglie che dobbiamo sostenere a livello provinciale, come quella per l’acqua pubblica sia per ottenere che il referendum raggiunga il quorum e che vincano i sì, sia imponendo agli enti locali politiche conseguenti nella gestione del ciclo dell’acqua.

 

Care compagne e cari compagni, cari amici,

veniamo ora a noi, a questo partito che sta per germogliare, per dire come lo vogliamo e quale ruolo deve avere nella società.

Mi sono già brevemente soffermato all’inizio sul percorso che ha portato alla nascita di Sinistra ecologia e libertà e non mi ripeterò.

Credo però che sia necessario partire di lì, ovvero da ciò che è stato fatto, ma forse sarebbe meglio dire disfatto, a sinistra negli ultimi 20 anni dallo scioglimento del PCI ai giorni nostri.

Di fronte alla disgregazione dei muri figli della guerra fredda era certamente necessario avviare un profondo ripensamento di quella che era stata la storia del movimento operaio organizzato durante il ‘900 per capirne gli errori, ma anche le grandi conquiste, prima tra tutte quella della democrazia e della libertà che erano oramai diventate parte integrante del pensiero politico di tutta la sinistra.

Invece accadde quel che tutti sappiamo e milioni di donne e di uomini di sinistra si trovarono sballottati tra una frettolosa dismissione del patrimonio politico del PCI e la riproposizione dello stesso tale e quale, anzi con qualche regressione culturale in più.

E tante e tanti abbandonarono, in tutte le parti d’Italia, e qui a Savona in particolare, lasciando che crescessero due gambe (il PDS e Rifondazione Comunista) che cercavano di stare in piedi da sole, quando invece l’una avrebbe avuto bisogno dell’altra e viceversa.

Da allora abbiamo assistito ad un insieme di sconfitte, ed anche quando queste non ci sono state, il moderatismo del PDS/DS e le estremizzazioni di RC hanno impedito di trovare intese su un programma di governo, con gli esiti che ci sono noti.

Ma nello stesso tempo in cui la sinistra man mano veniva meno, fino a scomparire dal parlamento, ci si rendeva conto della sua indispensabilità, di quanto mancava una grande forza politica che difendesse la pace, sempre e comunque, che difendesse convinta la costituzione e gli spazi democratici, a cominciare dalle assemblee elettive a tutti i livelli, che difendesse la dignità del lavoro e le condizioni di vita dei lavoratori e dei pensionati, la scuola pubblica, la laicità delle istituzioni, e così via.

E ci si rendeva conto anche di quanto fosse necessaria una forza politica che facesse della questione ambientale uno dei suoi pilastri politici e di quanto, ancora, questione ambientale, condizioni di lavoro, qualità della vita fossero strettamente interconnesse, pur nelle loro contraddizioni (ricordiamo l’ACNA o la centrale di Vado di cui ho già parlato).

Ma ci si rendeva contro anche che occorreva fare un salto di qualità rispetto al passato, che non era più possibile ripartire, come lo sarebbe stato ancora 20 anni fa, dall’esistente, cioè da una grande forza politica che vuole cambiare e rinnovarsi senza perdere la propria identità.

Ricostruire oggi una sinistra, una grande sinistra, passa attraverso la consapevolezza che non abbiamo più una identità da salvaguardare ma che è necessario guardare criticamente alle macerie del passato per costruire da capo una nuova identità.

Certo, non fraintendetemi, non dobbiamo metterci in testa che occorre inventare tutto da zero, ma solo che dobbiamo avere la forza e l’intelligenza di costruire il nostro futuro senza abbandonarci alla facile scorciatoia di riproporre, magari un po’ rivedute, le idee guida dello scorso secolo.

L’ho detto all’inizio, la socialdemocrazia, il comunismo, l’ambientalismo così come li abbiamo conosciuti nel ‘900 hanno rappresentato una grande lezione per tutti e pur con i loro errori, e financo con le loro tragedie (come quelle rappresentate dal socialismo reale), hanno saputo sollevare centinaia di milioni di donne e uomini da condizioni di degrado e dalla fame e renderli persone a tutti gli effetti.

Ma oggi dobbiamo andare oltre quei simboli, che pure possono continuare a vivere dentro di noi, perchè abbiamo bisogno innanzitutto di trovare a sinistra un linguaggio comune, che non si arresti di fronte ai muri rappresentati dalle singole identità passate, che parli ai giovani ed ai ragazzi che quelle identità le leggono con gli occhi dei regimi dell’est europeo o con quelli ancor più tragici della Cambogia di Pol Pot.

Ecco noi dobbiamo avere il coraggio di consegnare alla storia le identità del ‘900 senza consegnargli pure gli ideali che quelle identità hanno ispirato, primi tra tutti quelli della giustizia e dell’eguaglianza, che sono bandiere senza tempo che dobbiamo riprendere a sventolare con orgoglio.

Perchè un partito di sinistra non nasce se alla sua base non ci sono forti ideali e la costante ricerca di nuovi rapporti sociali che superino ogni forma di sfruttamento, da quella sulle donne e sugli uomini a quella sulle risorse naturali, che distrugge ecosistemi e mette a repentaglio l’esistenza delle specie animali e vegetali.

Sinistra ecologia e libertà non nasce quindi per governare l’esistente, cercando di migliorarlo un pochino, ma nasce per cambiarlo, l’esistente, per costruire un nuovo ove non vi sia spazio per calpestare la vita o la dignità altrui.

Se così non fosse non avrebbe senso faticare per costruire un nuovo partito, né avrebbe senso utilizzare, per definirci, la parola “sinistra”.

Una parola che vuole richiamare il mondo del lavoro, di tutti i lavori, se volete anche quello dell’imprenditore, da contrapporre al profitto ed ancora di più alle rendite, cioè a quel modo del tutto inaccettabile di accappararsi ricchezza senza svolgere alcuna attività utile.

Una parola alla quale abbiamo aggiunto ecologia perchè non ci sarà futuro per nessuno se non si comprende che le risorse di cui disponiamo non sono illimitate e che bisogna conservare il pianeta, se vogliamo conservare la stessa vita umana.

Ed infine libertà, che non ha per noi il significato di fare ciò che si vuole, il famoso “padroni a casa propria”, ma significa possibilità garantita a tutti di esprimere e sviluppare liberamente la propria personalità, di compiere scelte consapevoli e responsabili, nella convinzione assoluta che il libero sviluppo di ciascuno sia condizione per il libero sviluppo di tutta la società.

Sinistra ecologia e libertà deve quindi essere il partito della buona politica, dove ci si possa impegnare e appassionare con gli altri in una battaglia ideale anche senza ricoprire una qualche carica pubblica, dove si stia bene insieme pur nelle differenze che contraddistinguono ogni discussione politica, dove l’impegno e la fatica del fare politica siano ricompensate dalla soddisfazione di contribuire ad un progetto che va oltre noi stessi.

Un progetto che ripensi il rapporto tra singolo e società, tra beni individuali e collettivi (acqua, territorio, sapere, informazione, ecc.), da gestire – questi ultimi – in modo democratico e partecipato, nell’interesse di tutti.

A livello nazionale noi abbiamo in Vendola un grande leader, ma – contrariamente a quanto polemicamente sostiene Franco Astengo – il nostro non è, né sarà mai, un “partito personale”.

Al contrario esso vuole essere un nuovo soggetto politico che aspira a diventare di massa, dove le iscritte e gli iscritti costituiscano quell’intellettuale collettivo di gramsciana memoria che pensa ed agisce nella società per trasformarla.

E vogliamo che sia anche essere un partito aperto, (sì, un partito: non abbiamo paura di questa parola), che si strutturi e radichi nel territorio, che dice ciò fa e fa ciò che dice, dove l’esercizio delle responsabilità, a tutti i livelli, non faccia perdere di vista l’obiettivo e l’interesse generale.

Quindi, care compagne e cari compagni, con queste convinzioni insieme ai tanti che si sono avvicinati e che continuano ad avvicinarsi a noi riprendiamo il nostro cammino.

Ma forse sarebbe meglio riconoscere che molti di noi il camminino non lo hanno mai abbandonato.

Non lo hanno abbandonato coloro che si sono battuti dentro il PDS/DS per fermarne la deriva moderata, costituendo dapprima l’associazione culturale Aprile per la sinistra e poi Sinistra democratica.

Non lo hanno abbandonato coloro che nei verdi o in rifondazione si sono battuti fino agli ultimi congressi per convincere la maggioranza di quelle forze che era necessario costruire qualcosa di più grande ed unitario.

Non lo hanno abbandonato infine coloro che, senza appartenenze, hanno in questi anni continuato a cercare di mettere assieme i cocci della sinistra, organizzando incontri, intessendo rapporti, perdendo serate.

E’ anche grazie a tutti queste persone, molte delle quali vedo qui stasera, che oggi possiamo finalmente dire: partiamo.

E sappiamo che non sarà un viaggio semplice, sia per le condizioni in cui ci troviamo oggi in Italia, sia per le enormi difficoltà che incontreremo nel cercare di parlare ad un popolo stanco e disilluso, tendente all’apatia quando non al qualunquismo.

Ma ci consolerà il fatto che questo nostro viaggio verso la sostenibilità, la giustizia e l’eguaglianza non è iniziato con noi ma parte dalla storia lontana e, ne siamo certi, non terminerà con noi, perchè ci sarà sempre qualcuno che si batterà contro le sopraffazioni fino a che l’umanità non sarà completamente liberata.

 

Sergio Acquilino

 

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