L’ammucchiata Ditirambi e fake news sul Tav. Il Giornalone unico in piazza a Torino nel nome degli affari

Le piazze, specie quelle partecipate, sono sempre una buona notizia. Quando su un legittimo e benvenuto esercizio di partecipazione cala il racconto dei media, delle preferenze politico- culturali dei loro cronisti e dei loro editori, però, la faccenda si fa più scivolosa. Cosa si potrebbe scrivere oggi del peso effettivo di “Roma dice basta”, ovvero della manifestazione in piazza del Campidoglio che si meritò una diretta tv e ponderosi articoli sui giornali, alla luce della scarsa partecipazione al referendum sull’Atac cavalcato dall’opposizione alla Giunta Raggi?”

SULLA PIAZZA di Torino 20, forse trenta, magari quarantamila persone, così ci si può gingillare con corsi e ricorsi storici – ieri sono calati fiumi di inchiostro che ruotavano attorno a due concetti: il governo traballa, fare il Tav è puro “buon senso”. Una narrazione da cui numeri, studi sull’utilità dell’opera e possibili contro­proposte vengono estromessi.

A che servono? I manifestanti e i loro aedi si sono già autoproclamati “competenti” e tutti i giornali citano deliziati il cartello “Il principale problema è l’incompetenza”.

Il fatto che a piazza Castello, oltre a tanti  cittadini, ci fossero pure molta politica  e un bel pezzo di potere economico cittadino è invece un dettaglio ritenuto poco significativo: sì, c’erano i politici “ma niente che rimandi alla  propaganda delle rispettive botteghe  Si è lasciato spazio alla riscossa civica, senza etichette” (Il Messaggero); “intravisti (sic) tra la folla Mariastella Gelmini, Piero Fassino e alcuni deputati leghisti piemontesi, senza rabbia (?)”(Corriere della Sera).

La cronaca di Repubblica inizia, lirica, con l’uomo che s’era inventato una petizione pro-Tav su change.org: “Non l’avrebbe mai immaginata, Mino Giachino da Canale d’Alba, una piazza tanto piena ai suoi piedi”. Seguono parecchie righe senza trovare mai il tempo di ricordarci che il caro Giachino, già seconda fila Dc, fu sottosegretario ai Trasporti dell’esecrato Silvio Berlusconi tra il 2008 e il 2011. In quota Gianni Letta.

Tra tanti disinteressati ci pensa Luca Zaia, viceré veneto, a spiegarci che va bene Sì Tav ma soprattutto Sì Pedemontana (Corriere della Sera), un classico project financing in cui lo Stato paga e il privato incassa. Il Sole24 Oredà senz’altro la parola a Dario Gallina, capo degli industriali di Torino, manifestante: “Vogliamo che ci sia almeno un rappresentante delle forze economiche e sociali all’interno della struttura tecnica di missione del ministero incaricata di effettuare l’analisi costi-benefici”. Per quale motivo dovrebbe esserci è difficile da capire, ma ormai tutto si può dire visto che le ideatrici della manifestazione vogliono andare da Sergio Mattarella per “chiedergli un garante superpartes nella commissione che deciderà il  Tav” (La Stampa).A Mattarella,  i competenti, però, sono così parlano di “penali e quanto ne conseguirebbe”(Repubblica) che sono esplicitamente escluse negli accordi, né desumibili dai contratti visto che non ne è stato firmato neanche uno; gioiscono in coro attorno alle bandiere olimpiche “Torino 2006”  in piazza dimenticandosi che  fu proprio quel grande evento a scassare i conti della città ,  dissesto che ha poi finito per portar e in Comune l’odiata Chiara Appendino; infine si deliziano con le citazioni di Cavour (“Maestà, dobbiamo governare anche per quelli  che non capiscono”, Il Messaggero),  finendo per dimostrare che è la monarchia, e neanche una delle  migliori, l’habitat istituzionale più adatto a questo  malfondato senso di superiorità.

POI Cl SONO quelli che sperano – legittimo, ma forse un po’ velleitario – che  la piazza di Torino  butti giù l’esecutivo: “Messaggio al governo” , dice il Corriere, “Spallata al governo”, è il titolone del Giornale, il cui diretto re Alessandro Sallusti ritiene che i convenuti di Piazza Castello manifestassero “per la libertà” (?), ma al fondo ha interessi di più bassa levatura  politica, casualmente coincidenti con quelli del fratello del suo editore, tal Silvio Berlusconi: “Questa piazza è il primo segno tangibile(…) che c’è  vita oltre  i Cinquestelle”; “Mi chiedo per quanto ancora Salvini possa tenere il piede in due scarpe, Quella piazza cerca un leader che la rappresenti,  ma questo leader  non può essere allo stesso tempo complice di Di Maio”. Insomma, la piazza è di centrodestra e, non osando sperare in Berlusconi, uomo ritroso, vorrebbe Salvini. Vola alto La Stampa: “Torino, l’altra Italia”,  il titolone; “Una sfida per la modernità”, l’editoriale del direttore. Se uno ritiene che il Tav sia un pessimo affare, e lo ritengono pure un bel po’ di analisi accademiche, è “un luddista del XXI secolo” ed è contro tutto, pure “la creatività dei singoli” e “lo Stato di Diritto (sic)”che invece  erano,  ritiene Maurizi o Molinari,  nella  piattaforma della manifestazione(a noi era sembrato di vedere più interesse nel cancellare la Ztl, ma forse abbiamo visto male).  Anche l’editoriale del Corriere, pur meno futurista, punta sulla “piazza interclassista che non si rassegna al declino”: pare che il dilemma Tav non sia se spendere soldi in una  nuova infrastruttura visti i volumi di traffico e l’esistenza  di trafori già sottoutilizzati, ma “o si sta dentro i flussi internazionali di persone / merci o si rinuncia alla crescita”. Così, secco.

Alla fine, dicono, niente sarà più come prima: “Torino si è ricongiunta con la sua anima più profonda: città laboratorio. Sabato 10 novembre è un inizio” (La Stampa). Ce n’est qu’un début, per carità, ma pure una fine: “La manifestazione ha segnato una svolta. Bloccare la Tav sarà molto difficile e l’ennesima marcia indietro dei 5 Stelle sarà forse inevitabile” (Repubblica).  Michele Serra, sempre su Repubblica, sancisce la sconfitta  dei No Tav e spera anzi che  “il  loro isolamento non generi disperazione o violenza,  inutili e dolorosi strascichi” (?) . Poi spiega: “Opporsi allo sviluppo non serve a niente se non si hanno in mente le alternative”. Il fatto che varie “alternative” vengano proposte da quasi due decenni non rileva: vabbè.

CHIUDIAMO  su una nota più allegra. Ci informa Il Messaggero: “In piazza si canta la canzone di Battisti: Sì, viaggiare. Per l’Europa, per il mondo, velocemente”. E la Repubblica riporta le parole di uno studente di ingegneria dell’automobile: “Il mio lavoro e la mia vita mi porteranno forse lontano. Ma domani voglio poter lavorare altrove e tornare facilmente nella mia città”. Ecco, magari ricordare che il Tav è solo per le merci avrebbe aiutato.”

Marco Palombi –  Il Fatto Quotidiano

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