A Cengio c’è un torrione che sembra più una ferita che una costruzione. Una cicatrice di mattoni rossi che racconta una storia lunga, dolorosa e tossica. È il simbolo dell’ex ACNA, la fabbrica che per un secolo ha avvelenato la Val Bormida. Un pezzo d’Italia industriale che ha prodotto di tutto: dai coloranti agli esplosivi, dagli acidi ai gas da guerra. Qui, l’ambientalismo non è nato nei salotti buoni, ma tra i campi devastati e nei polmoni dei contadini.
Ora che la fabbrica ha chiuso da 25 anni e la bonifica è ancora a metà (anzi, per alcune zone è solo una messa in sicurezza, cioè: i veleni ci sono ancora, solo recintati meglio), qualcuno ha pensato bene di trasformare questa terra già martoriata in un nuovo polo per i rifiuti della Liguria. L’idea della Regione è tanto semplice quanto brutale: costruire un termovalorizzatore proprio qui, a Cengio, dove si respira ancora la memoria dell’inquinamento.
Ma perché proprio qui? Perché la Val Bormida, come ha scritto Il Fatto Quotidiano in un’inchiesta di Ferruccio Sansa …leggi…., conta poco, ha pochi abitanti e ancor meno peso elettorale. È una terra di mezzo tra Liguria e Piemonte, dimenticata da entrambe. E quindi, perfetta per ospitare le scelte impopolari.
Oltre a Cengio, tra i siti “papabili” ci sono anche Cairo Montenotte – ancora oggi alle prese con le emissioni della Italiana Coke – e Vado Ligure, la stessa che ha conosciuto una delle centrali a carbone più letali d’Italia. Qui il concetto di “transizione ecologica” suona come una beffa: prima ti avvelenano, poi ti dicono che la soluzione è bruciare rifiuti vicino a casa tua. È come se dopo averti investito, ti proponessero un biglietto per l’autobus come risarcimento.
I sindaci dicono no, per ora. Anche quello di Cengio, Francesco Dotta, ha preso una posizione netta: “Io non sono contro la tecnologia, ma basta. La nostra gente ha già pagato”. Lo stesso vale per i consiglieri di opposizione, che denunciano non solo i rischi ambientali, ma anche quelli economici: chi vorrà venire a vivere in un paese con un forno per rifiuti in giardino?
Eppure c’è un’alternativa. E si vede. La natura, dove le hanno lasciato spazio, si sta riprendendo le colline. Le vecchie fabbriche potrebbero diventare campus per la ricerca ambientale, poli innovativi verdi, o almeno luoghi di rinascita sociale. C’è perfino un’idea di università green, in una terra che ha tutte le infrastrutture: ferrovia, autostrada, spazio. Ma manca una cosa: la volontà politica.
Quella, purtroppo, sembra avere occhi solo per chi finanzia le campagne elettorali. Perché da queste parti, come altrove, i signori dei rifiuti hanno messo soldi sia a destra che a sinistra. E così la Val Bormida rischia di passare da laboratorio di disastro industriale a laboratorio di disastro politico.
Questa valle non ha bisogno di altri veleni. Ha bisogno di giustizia, risarcimenti veri, visione. E rispetto. Dopo cento anni di sofferenza, è chiedere troppo?