Consiglio Comunale

Il discorso di ieri sera di Milena Debenedetti (Movimento 5 stelle)
 in Consiglio Comunale nel dibattito
sulle linee programmatiche di sindaco e giunta

  Sig. Sindaco 

nel leggere le linee programmatiche, ma ancor più nell’ascoltare il Suo discorso nel precedente Consiglio, si ha l’impressione di trovarsi di fronte a un quadro grandioso, una vasta panoramica, che rimane però sempre ben distante dai punti concreti e dalle spiegazioni relative. 

Una sorta di libro dei sogni molto articolato, in qualche caso degli incubi, forse,  per chi prediliga un modello più attento alla sobrietà, alla conservazione e allo sviluppo sostenibile. Ma questo dipende dai punti di vista. Che fa intravedere grandi opere, grandi progetti e massiccio intervento di privati. Un quadro nel suo insieme però abbastanza irrealistico e poco credibile. 

Si fa solo cenno al discorso del debito, sia locale sia nazionale,  e delle carenze di fondi che devono affrontare i Comuni: in realtà non siamo di fronte a semplici problemi economici, ma a un quadro generale sempre più preoccupante ogni giorno che passa, che incombe sul nostro immediato futuro, con segnali addirittura di recessione mondiale. Non si può non tenerne conto.

Realismo sarebbe attenersi ai fatti: per esempio, spiegare dove si intenda intervenire per ridurre il superfluo e tagliare le spese, quando e’ evidente che sia impossibile evitarlo, che sarà necessario fare scelte difficili e forse dolorose, per mantenere un buon livello di servizi.

Realismo sarebbe tratteggiare una quadro forse più dimesso, forse più “minimalista”, ma senz’altro più plausibile.

Realismo sarebbe ammettere che siamo di fronte a una crisi che non è solo economica, non e’ passeggera, ma è vera e propria crisi di sistema, che richiederà al più presto riconversioni drastiche del modello di sviluppo, perché procedere come niente fosse, magari rallentando e aspettando che passi, non sarà possibile, pena ritrovarsi impreparati e travolti dagli eventi, fin troppo tumultuosi, presto anche nelle realtà locali.

Realismo sarebbe spiegare come si intende procedere per scongiurare la necessità di cedere beni pubblici, beni di tutti, immobili, aree o altro, per fare cassa. Una procedura sempre più diffusa che però, è evidente, ha il fiato corto e effetti deleteri sul lungo periodo.

In una famiglia dove si rischia il tracollo, vendersi poco alla volta i beni serve solo a rimandare il disastro, non certo a scongiurarlo, e anzi alla fine lascia senza alcun paracadute di scorta e nella povertà più nera.

Riguardo il “demonizzare” i privati. Non credo che il termine sia calzante, perché riferisce a un qualcosa di emotivo, una paura di tipo psicologico o ideologico senza veri motivi. In realtà,  chi teme i privati lo fa a ragion veduta, visto che i fatti ci raccontano come i privati cerchino soprattutto facili profitti, puntino alla gestione di beni consolidati e lucrosi lasciando al pubblico l’onere delle strutture più costose e poco remunerative, limitando al minimo gli investimenti, tagliando su spese e personale,  in una logica di mercato che spesso e volentieri stride con i bisogni della comunità, le esigenze di benessere, occupazione e dignità delle persone.

In questo senso, sì, noi demonizziamo i privati.

Il concetto  si può applicare in tanti campi, dal cosiddetto privato del terzo settore da Lei citato alle grandi opere, agli investimenti immobiliari. Perché preoccupa un quadro tratteggiato di grandi opere? Perché e’ evidente che, nella situazione in cui viviamo, questo non può essere realizzato se non ricorrendo massicciamente al capitale privato. Sappiamo che maggiore e’ il bisogno, minore e’ quel margine di trattativa che salvi dalla speculazione e consenta di ritagliarsi spazi di opere di utilità sociale, benessere collettivo e armonia con l’ambiente. Ci pare anzi che questi margini di trattativa coi privati, per non parlare di enti come l’Autorità Portuale,  nel tempo si siano sempre più ridotti, a tutto discapito della comunità. Ci sembra che certe facilitazioni oggi messe a disposizione di investimenti devastanti e infruttiferi, come il Piano Casa regionale, richiedano molto coraggio e fermezza per non portare a inarrestabili e irreversibili scempi futuri. Non solo. Già ora assistiamo al trionfo dell’invenduto e degli spazi vuoti, in futuro, con il procedere della crisi, avremo senz’altro anche le incompiute, cattedrali nel deserto lasciate a metà. 

Lei parla di un ritorno a una vecchia politica più vicina alle persone e al dialogo. Certo sarebbe meglio di quella attuale, così distante e autoreferenziale, ma noi crediamo che tornare indietro sia difficile, si possa e si debba piuttosto andare ancora oltre,  verso un modello completamente innovativo di partecipazione politica dal basso, un’idea nuova di democrazia diretta dove il cittadino entri direttamente nelle istituzioni e nelle decisioni che lo riguardano. Lo chiedono i movimenti, lo chiedono i giovani, lo chiedono le società più disparate, dall’Africa del Nord alla Spagna alla Grecia all’Islanda che iniziano a organizzarsi e proporsi secondo tali nuovi modelli.  

Un sistema destinato a travolgere vecchie contrapposizioni di sinistra e destra che, con tutto il rispetto per le grandi idee e ideali,  sono state ormai ridotte  nella pratica a una sorta di teatrino delle parti.

E che e’ ormai molto vicino a noi, lo dimostra la straordinaria esperienza dei referendum, dove la maggioranza assoluta, e dico la maggioranza assoluta del Paese ha saputo muoversi con una certa autonomia dai partiti, anche contro i partiti. Ed e’ proprio quella maggioranza, non dimentichiamolo, che “demonizza” il privato e chiede una decisa inversione di rotta, sulla gestione dell’acqua ma non solo, essendo questa un simbolo molto più profondo, una sorta di paletto invalicabile, una esigenza inderogabile di cambiamento, una nuova sensibilità collettiva. In questo senso sono in disaccordo con quanto affermato poco fa dall’Assessore Martino: non è che con il quesito 2 del referendum sull’acqua ci si sia limitati a abolire l’obbligo di privatizzare in parte beni e servizi, lasciandone però facoltà. Il significato è più profondo.

Un esempio, parlando di progetti per il lungomare: la strada che si intravede, si potrebbe intravedere a Levante, con la rinuncia al progetto Margonara e l’auspicato ascolto dei comitati e di chi propone modelli di progettazione partecipata, potenzialmente a costi ridotti per la comunità, da realizzarsi con la collaborazione fattiva dei cittadini, potrebbe essere un modello anche per il Ponente, minacciato, comunque la si voglia vedere, da ombre speculative e pesanti interferenze private.

Riguardo il commercio, ci sembra importante sottolineare come non basti parlare di negozi di quartiere come una sorta di presidio, ma occorra andare oltre e rifondare la qualità stessa del tessuto urbano. Come non siano le concessioni quali la sosta in doppia fila o l’attacco alla concorrenza più o meno discutibile di nuove etnie, il punto focale, ma la vera concorrenza sleale dei tanti, troppi centri commerciali, quei “non luoghi” della modernità con cui purtroppo, per politiche suicide, dobbiamo fare i conti.

Insomma, ci sembra che occorrano scelte coraggiose, minimali ma innovative, fantasia e ricostruzione del tessuto sociale, tagli ai costi e agli sprechi, rinunce forse a qualche progetto discutibile e troppo ambizioso, scelte su cui si possa chiedere la collaborazione e la comprensione dei cittadini, prospettando loro necessità, disagi e vantaggi.  

Noi siamo più che disponibili a fare la nostra parte, a dispetto di chi ci vuole distruttivi, nichilisti e bastian contrario a priori. Disponibili a  fare proposte concrete e ad appoggiare singoli progetti che possiamo condividere, e speriamo di dimostrarlo in modo fattivo.

Per esempio concordiamo sulla necessità di non sacrificare il sociale, sulla fondamentale importanza di mantenere il decentramento e l’ascolto dei quartieri, sul decongestionare il traffico urbano, su parcheggi periferici, su piste ciclabili,  e poi  vorremmo si puntasse a ogni costo, concretamente e subito,  su una politica dei rifiuti più moderna e vicina alle tendenze innovative del riciclo, della riduzione alla fonte e di un minor inquinamento. Non dimentichiamo quanto ci condizionino, a proposito di inquinamento, le scelte portuali, industriali e carbonifere che ci circondano, e che necessariamente impattano sul discorso turismo che si vorrebbe portare avanti, turismo già minacciato da cambi climatici e stravolgimento speculativo del territorio.  

Insomma, noi auspichiamo che ci possano essere temi e progetti su cui collaborare, nel rispetto dei propri ruoli ma in un’ottica che vede il cittadino, e non la politica e le sue regole, al centro di tutto.  

Noi lo speriamo, ma al momento i segnali non sono incoraggianti.

 

 

Condividi

Lascia un commento