IL SINDACO IDEALE È QUELLO CHE NON C’È

Il Sindaco ideale è una categoria filosofica kantiana, un alieno, un archetipo junghiano, un essere mitologico.
Il Sindaco ideale ha soprattutto i migliori Consiglieri, ça va sans dire…
Sarebbe ameno descriverne i tratti perché l’unica cosa che conta, nella pratica, è che abbia preso abbastanza voti per venire eletto.

L’idea che il sindaco sia rappresentativo rispetto alla gente di una città, ci rimanda a immagini romantiche di un tempo in cui si conosceva esattamente l’uomo prima del politico. Questa condizione è oggi naturalmente inapplicabile sia nelle grandi realtà urbane come Milano, come in quelle ben più piccole, ma resta un archetipo.

Nelle realtà sociali antiche, il capo era uno del gruppo, uno che conosceva bene gli usi e costumi della tribù e questo dava sicurezza alla gente e garantiva una continuità del sistema che si adeguava molto prudentemente alle nuove esigenze e tendenze delle giovani generazioni fino al punto di escludere, di fatto, eventuali individui divergenti.

Oggi tutto è cambiato: gli schieramenti politici si muovono facendo molta attenzione al potere da accontentare e alla massa da pilotare, basi su cui costruire il candidato perfetto, grazie anche alle “think tank” che studiano “ad hoc” il costume, la maschera e le parole chiave da usare durante la campagna elettorale. Le diverse strategie, sono ben presentate anche nel libro “Della guerra” di Clausewitz e nelle varie didattiche di marketing, usate oramai da chiunque voglia vendere qualcosa.
Ma esiste anche la strategia “del male minore “; controversa teoria che nega la ricerca dell’uomo migliore per uno “meno peggio” , e pare molto amata soprattutto in ambienti sofferenti ed impaurito quali sono attualmente i partiti.
La logica è semplice: prima ancora di sapere quali siano i candidati, in molti si schiereranno a favore di questo “cittadino”, novizio (si fa per dire) in politica è appunto considerato “il male minore” senza neanche prendere in considerazione un candidato alternativo. Non serve J.Nash con la sua teoria dei giochi per comprendere il fenomeno..

Ma torniamo ai partiti….
La prima riflessione è sull’invasione della cosiddetta ‘società civile’ nella politica che testimonia l’incapacità dei partiti a proporre un proprio esponente. Cioè non ottengono più fiducia dall’elettorato e pedissequamente non danno fiducia, ai loro esponenti (eletti, nominati, cooptati che siano)
E così ci si rivolge altrove. Professionisti (tanti) gente comune (raramente) intellettuali (molto presunti) persone di buona volontà (credo tutte) talvolta anche ad ex politici “trombati&pentiti” (fortunatamente pochi)
Lo ha evidenziato anche Cacciari in una recente intervista televisiva, in cui ha paragonato la politica ad un sistema di vasi comunicanti tra i partiti e la cosiddetta ’società civile’.
Prosaicamente: quando i partiti falliscono, subentra automaticamente l’apporto di risorse umane da parte dei ’laici’. Il che, in generale, va bene quando i non-partitici sono bravi e competenti.
Ma se così non fosse?

Non è che se il Sindaco lo prendi tra i neofiti, i nuovi, i tecnici, ciò è garanzia di ottima politica. Per tre motivi: la competenza politica non è scontata (non è detto che la bravura professionale sia equivalente a competenza gestional-politica); non è detto che si affaccino alla ribalta politica i più bravi o quanto meno i più coscienziosi; è sempre più prevedibile che i più capaci/competenti non si avvicinino proprio alla politica.
Cacciari, infatti, sottolineava anche e forse proprio l’abbassamento qualitativo degli apporti/innesti dalla società civile.

Siamo messi così.

Nippy Boy

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